LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: SMALTO

Intervista di Gianluca Clerici

Erano i Mamavegas un tempo e oggi raccolgono le ceneri e quel che ne resta anche in termini di “capitale umano” e riaffiorano in superficie firmandosi Smalto, ovvero Matteo Portelli e Francesco Petrosino. Un Ep d’esordio molto interessante dal titolo “Niente di serio”, lavoro che vedeva una iniziale collaborazione anche di Mr.Milk, suono e scrittura che sembrano “claustrofobiche” per certi versi, per altri assai dedite a quella ruggine di periferia molto ma molto intrigante… e tra liriche di rinascita si prende il suo spazio un suono che ricorda questi andati anni ’90. Indaghiamo sul piano sociale con le nostre consueto domande di Just Kids Society:

Iniziamo sempre questa rubrica pensando al futuro. Futuro ben oltre le letterature di Orwell e dei film di fantascienza. Che tipo di futuro si vede oltre l’orizzonte? Il suono tornerà ad essere analogico o digitale?
Beh ormai il digitale è radicato, come tipo di suono e come modo di lavorare sul suono; da questo non si torna indietro, e da una parte è bene che sia così. Il digitale offre, come ogni forma di progresso tecnologico, delle possibilità incredibili, ma come ogni forma di progresso tecnologico bisogna saperlo dominare e non esserne schiavi (un pensiero innovativo eh?)! E l’analogico, sia inteso come l’uso degli strumenti acustici, sia inteso come modo di registrare e mixare, non può e non potrà sparire, finché saranno delle persone a comporre musica, e a manovrare le macchine e i computer: l’uomo è analogico, poco da fare!
Il nostro tentativo è stato quello di dare una veste analogica a un apparato sonoro digitale in un certo senso. Una batteria concepita come se si stesse dietro a un kit “reale” e poi fatta suonare da campioni è esattamente questo. Molte parti delle nostre canzoni sono nate con uno strumento in mano, il basso per esempio, e poi suonate con strumenti digitali, o magari con synth analogici ma con molta elaborazione al computer.
Il futuro forse sta qui, nel cercare forme di interazioni tra questi due modi di ragionare, sperimentare tutte le possibilità, capire i vantaggi dell’uno e dell’altro approccio.. I computer ci regalano soluzioni e suoni sempre più ricchi, imprevedibili, innovativi, ma integrarli in una canzone è un procedimento inevitabilmente analogico.
Poi chiaro, è interessante anche capire che livello e che tipo di bellezza possano raggiungere anche composizioni puramente digitali, quasi senza intervento umano, ma non è quello di cui ci vogliamo occupare noi per adesso!

I dischi ormai hanno smesso di avere anche una forma fisica. Paradossalmente torna il vinile. Ormai anche il disco in quanto tale stenta ad esistere in luogo dei santi Ep o addirittura soltanto di singoli. Anche in questo c’è un ritorno al passato. Restiamo ancora dentro al futuro: che forma avrà la musica o meglio: che forma sarebbe giusta per la musica del futuro?
Distinguiamo tra quello che speriamo e quello che, ahinoi, prevediamo?? Quello che ci manca molto, sia pensando alla musica con cui siamo cresciuti, sia a quella che abbiamo suonato, è il respiro largo che davano i dischi. Conoscere e capire un artista richiede più di una canzone, più di un ascolto. L’enorme lavoro che sta dietro anche a una sola canzone meriterebbe un’attenzione di ascolto che purtroppo sembra ormai impossibile. Il disco ti permette di sentire delle sfaccettature, dei lati del carattere musicale di un artista che è impossibile riassumere in un singolo, forse anche in un EP. Ma non ci pare purtroppo che questa sia la direzione. Come in tantissimi aspetti della vita moderna c’è fretta. Fretta di beccare la canzone che buchi subito, fretta di mettere il ritornello entro il primo minuto, fretta di accorciare le parti strumentali, le introduzioni, fretta di far uscire produzioni a ritmi esagerati. Questa frenesia, dettata dalle piattaforme di riproduzione, oltre che da tantissimi altri meccanismi infernali difficili da combattere, secondo noi porta a un appiattimento della creatività e della capacità di ascolto. Ma è vero anche che la creatività si adatta e trova i suoi modi per uscire fuori, e vediamo nelle generazioni più giovani delle capacità di sintesi e delle forme di spessore musicale interessantissime. Forse la musica si sta adeguando e sta trovando un modo per essere potente e profonda anche in queste nuove forme che potrebbero sembrare soffocanti..
Comunque un po’ di resistenza alla frenesia sarebbe opportuna, forse non sta a noi che siamo di una generazione un po’ avanzata (manco troppo eh!), ma che ragazzi giovani siano in grado di produrre ed ascoltare dischi con respiro largo sarebbe veramente un bene, sarebbe una cosa da insegnare. Il ritorno del vinile da questo punto di vista è fondamentale: è un supporto che ti costringe a fare delle azioni concrete legate all’ascolto della musica, e quella fisicità sicuramente fa aumentare la concentrazione e l’immersione.

La pandemia ha trasposto il live dentro incontri digitali. Il suono è divenuto digitale anche in questo senso… ormai si suona anche per interposto cellulare. Si tornerà al contatto fisico o ci stiamo abituando alle nuove normalità?
Anche qua possiamo rispondere parlando di quello che speriamo e che vorremmo.. cioè che non ci si abitui mai a tutto questo! La musica è contatto, è relazione, è uno dei più potenti strumenti per creare interazione, tra musicisti, tra ascoltatori, tra musicisti e ascoltatori. Tutto questo non si può e non si deve perdere. Già il fatto che la dimensione band sia sempre più rara e lasci il posto a più frequenti progetti individuali è una cosa su cui riflettere.. bisogna darsi da fare e lottare per mantenere la socialità della musica.
I nuovi mezzi possono dare dei supporti, degli strumenti da affiancare o da usare in emergenza.. prendiamo un esempio extramusicale: la didattica a distanza in alcuni momenti è stata utilissima, potrebbe ancora avere una sua utilità se usata solamente in casi moooolto estremi, ma pensare di sostituire la didattica “tradizionale”, con tutto il suo carico di rapporti e umanità sarebbe una mostruosità a cui bisogna opporsi con tutte le forze.
Sicuramente con la pandemia sono emerse alcune tentazioni di ridimensionamento di molti aspetti della socialità, per motivi sostanzialmente economici, ma forse non solo, e la pigrizia potrebbe portarci ad accettare questi ridimensionamenti. Troppo più facile godersi un concerto in streaming da casa, magari con un buon impianto si sente anche meglio. Troppo più facile ascoltare un mp3 da un cellulare piuttosto che da un vinile su un bell’hi fi. Ma è un concerto quello? Ed è “ascoltare musica” quell’altro? Possiamo chiamarli così? Bisogna avere il controllo, bisogna continuare a sforzarsi per non perderci delle forme di bellezza più impegnative, ma che danno emozioni incredibilmente più profonde.

Scendiamo dentro le pieghe di questo primo lavoro dal titolo “Niente di serio”. Un mood digitale dentro cui si dipana la verità di una vita normale, di periferia. Bellissimo il video di “Noi non veniamo”. Secondo voi dunque, viste le mode e le abitudini di oggi, questo disco che scava oltre le apparenze come si inserisce dentro una scena ampiamente devota alla musica leggera digitale, immediata e quasi sempre densa di contenuti superficiali?
Ecco, questa è una questione che un po’ ci siamo posti quando abbiamo deciso di mettere su questo progetto, e su cui abbiamo continuato a interrogarci. Senza assolutamente essere in grado di darci una risposta eh! Abbiamo cercato una forma di leggerezza, forse di leggerezza apparente. Perché ok “Niente di serio”, ma poi in realtà c’è molto di serio, sia nei contenuti delle canzoni, in cui abbiamo riversato molta della nostra intimità e dei nostri quotidiani, sia nel modo in cui ci abbiamo lavorato. La leggerezza sta nell’approccio, nel prendere queste canzoni come un gioco, con tutto il bello che c’è nell’avere la possibilità di giocare, ma un gioco per funzionare bene deve essere fatto con serietà, con tempi adeguati, con impegno. Volevamo riuscire a fare delle canzoni semplici, immediate, ma che avessero anche più strati, più piani di lettura, sia dal punto di vista dei testi che da quello della produzione musicale. Questa, ma non è certo una novità, è la bellezza del pop di qualità, canzonette, ma che possano essere ascoltate e apprezzate anche da chi cerca musica non superficiale.
E dobbiamo dire che a noi sembra che anche nella scena pop attuale ci siano parecchie forme di profondità, non è tutto così superficiale, magari sono forme nuove che non è nemmeno detto che noi possiamo riuscire a leggere del tutto! Noi proviamo a rimanere in ascolto e a capire come stia evolvendo questa musica, e ad appropriarci degli elementi che riusciamo a cogliere, mescolandoli con le cose che sappiamo fare, col nostro background.
Poi ovviamente c’è tutto un mondo di musica più underground, scene meno visibili, in cui si continua a fare le cose in modo diverso, con tempi e intenzioni diverse, e noi comunque siamo in contatto anche con queste realtà, in cui ci siamo anche mossi per molto tempo, e ci portiamo dietro anche cose imparate là. Ecco, riassumento forse possiamo dire che abbiamo provato a fare pop con modalità non pop, ora dove e come si andrà a inserire questa cosa nella scena, e soprattutto in quale scena, lo vedremo. Speriamo ci sia un po’ di spazio, perché ci abbiamo veramente messo il cuore.

E poi tutti finiamo su Spotify. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
Non è che sembra un paradosso, lo è! Ed è un gigantesco errore, che purtroppo sembra insanabile. Fa parte tutto di quella pigrizia di cui sopra, ma non riguarda certo solo la musica eh! Ho fame, voglio mangiare, non voglio uscire, voglio qualcuno che mi porti del cibo, subito, a poco prezzo. Il sistema provvede col food delivery, il fatto che questo lusso vada pagato, che il tempo, il lavoro, la benzina di chi mi porta da mangiare non possano costare uno o due euro passa in secondo piano. Questa pigrizia, questo piccolo lusso, comportano un mettere i piedi in testa a qualcun altro, ma c’è un tramite che ci impedisce di vederlo, e quindi di sentirne la responsabilità.
Spotify, e simili, sono identici. Voglio sentire tutta la musica del mondo, non ho voglia di andarmi a cercare i dischi e pagarli, metti che non mi piacciono? Ecco, le piattaforme si nutrono di questa pigrizia, e, cosa ancor più grave, la acuiscono sempre di più! Il lavoro di chi fa musica è a dir poco sottopagato, l’enorme lavoro che sta dietro a una canzone, a un disco, viene completamente privato di valore, è un furto legalizzato su scala mondiale, difficile definirlo in altri modi. La differenza con la pirateria è veramente molto molto poca, solo che la pirateria almeno non aveva la pretesa di sostituirsi al mercato e di diventare egemonica…
Ma se questo diventa, come sta diventando, il mercato, abbiamo un problema grosso di sostenibilità: con dieci euro qualche anno fa ci si comprava a malapena un disco, ora ce ne compri un numero illimitato, come può essere sostenibile una cosa del genere? E tutto questo si regge, rispetto ai musicisti, su una specie di ricatto, sull’illusione della visibilità, che sappiamo tutti essere un’illusione, legata a questo incubo dei numeri, degli ascolti, delle visualizzazioni, che portano chi fa musica a doversi occupare di cose che col fare musica hanno troppo poco a che fare. Ma il discorso è colossale, pieno di diramazioni e di complessità, meglio fermarsi qua!!

Dunque apparenza o esistenza? Cos’è prioritario oggi? La musica come elemento di marketing pubblicitario o come espressione artistica di un individuo?
Sono, e devono rimanere, due cose diverse. È anche giusto e lecito che esista musica fatta male e velocemente per assecondare logiche di consumo, è sempre stato così anche se le forme erano diverse, ma bisogna essere sempre in grado di distinguere e separare, di non mischiare i piani. C’è il consumo e c’è l’arte, o comunque l’espressione artistica. Non è facile trovare i punti di confine, ci vuole un po’ di cultura in più, cultura sia di ascolto che di composizione. Le persone non smetteranno mai di avere l’esigenza di esprimere la propria sensibilità, che lo facciano con canzoni pop, con sperimentazioni elettroniche, o con altre forme poco importa, ma questa è un’esigenza insopprimibile, così come è insopprimibile il mercato e il suo bisogno di apparenza a basso costo. Bisogna sempre riflettere sulla separazione, ma anche sulle possibili contaminazioni, di questi aspetti. Anche qua, noi un po’ ci abbiamo giocato, ma la questione è bella grossa!

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto degli SMALTO, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Noi la sera, dopo le giornate in studio, appena saliti in macchina mettiamo quasi sempre grunge a volume sparatissimo! Penso che In Bloom dei Nirvana potrebbe essere un buon saluto per il nostro pubblico: una botta di energia emotiva inarrivabile, è l’energia con cui siamo cresciuti, liberatoria, amara, quasi violenta. So bene che potrebbe sembrare che non c’entri niente con la musica di Smalto, ma è rappresentativa di cos’è per noi la musica, di che potere ha. Però il fonico la deve mettere a volume veramente esagerato, se no non funziona!

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