LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: I FANTASMI DAL FUTURO

Intervista di Gianluca Clerici

Disco che ci regala bellissime sensazioni di passato, quello di periferia e di rock. E non è un caso che a dar voce a tutto troviamo la voce dei Polar For The Masses, Davide Dalla Pria, che qui si lega a Denis Forciniti e Luca Zordan per dar vita ad un trio anacronistico come questo dei Fantasmi dal Futuro. Eponimo esordio che troviamo ovviamente su tutti i canali digitali e che ovviamente non possiamo esimerci dall’indagare sotto la lente attenta della voce sociale.

Iniziamo sempre questa rubrica pensando al futuro. Futuro ben oltre le letterature di Orwell e dei film di fantascienza. Che tipo di futuro si vede oltre l’orizzonte? Il suono tornerà ad essere analogico o digitale?

Digilogico! Di fatto lo è già: per esempio alcune fasi del processo di registrazione sono gestite in digitale, altre sono territorio dell’analogico. Alla fine si cerca il meglio dei due mondi. Ma attenzione amici, suono analogico o digitale, ok, ognuno ha le sue preferenze ma alla fine conta solo avere delle buone canzoni. Senza di quelle non si va da nessuna parte! Quindi speriamo in un futuro di belle canzoni.

I dischi ormai hanno smesso di avere anche una forma fisica. Paradossalmente torna il vinile. Ormai anche il disco in quanto tale stenta ad esistere in luogo dei santi Ep o addirittura soltanto di singoli. Anche in questo c’è un ritorno al passato. Restiamo ancora dentro al futuro: che forma avrà la musica o meglio: che forma sarebbe giusta per la musica del futuro?

In futuro sarà come in passato: la musica viene sempre influenzata dai supporti usati per la sua divulgazione. Ora, e probabilmente sarà così anche in futuro, lo streaming è prevalente; quindi, in teoria dovresti fare brani brevi, il cantato dovrebbe arrivare quasi subito ecc. La maggior parte degli artisti “commerciali” si è adeguata, basta ascoltare un pezzo qualsiasi e contare dopo quanti secondi dall’inizio arrivi il cantato. Ma non sono tutti così, quindi ci sarà, come in passato, musica creata per il contenitore e musica che se ne frega del contenitore. Ci piace pensare di fare parte della seconda categoria.

La pandemia ha trasposto il live dentro incontri digitali. Il suono è divenuto digitale anche in questo senso… ormai si suona anche per interposto cellulare. Si tornerà al contatto fisico o ci stiamo abituando alle nuove normalità?

Siamo esseri umani e questo non potrà cambiare. L’emozione che provi quando salti, urli, balli, sudi assieme ad altra gente è qualcosa che provi solo in quel determinato contesto, in quella situazione. I live in streaming li abbiamo fatti anche noi, certo, perché durante la pandemia era l’unica cosa che potevamo fare. Ma un concerto vissuto in presenza è un’altra cosa. Ecco, speriamo che le persone non si facciano vincere dalla pigrizia, che abbiano ancora curiosità e voglia di uscire di casa. Muoversi.

Scendiamo dentro le pieghe di quest’opera prima. Un disco che pone salde radici in un passato di grandi suoni e di grandi modi di fare musica. Criticate le dinamiche della nuova società e dunque vi chiedo: come si inserisce dentro una scena ampiamente devota alla musica leggera digitale, immediata e quasi sempre densa di contenuti superficiali?

Onestamente non ci abbiamo pensato: quando si creano canzoni ci si lascia andare e non si sa dove si va a finire. Il nostro ruolo è quello di realizzare canzoni e lo facciamo secondo la nostra sensibilità e con le capacità che abbiamo. Poi le canzoni se ne vanno nel mondo, con le loro gambe e noi non le possiamo controllare. Si mescolano con le canzoni degli altri artisti. Belle e brutte, impegnate e non. Noi possiamo solo mettere il massimo dell’impegno nella creazione, poi il resto esula dal nostro controllo, dai nostri gusti, dalla nostra volontà.

E poi tutti finiamo su Spotify. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?

Tutti vogliamo essere pagati per il nostro lavoro. Tutti hanno la percezione che lo streaming sia gratis, ma non è così. I servizi di streaming su abbonamento ci retribuiscono, quelli gratuiti in realtà passano pubblicità e ci retribuiscono comunque, anche se molto meno. Forse il vero punto è l’ammontare dei pagamenti, quanto trattengono gli intermediari, quanto poco gli artisti conoscano il diritto d’autore e i diritti connessi. Gli artisti lamentano scarsi guadagni dagli streaming, ma spesso non hanno idea di come questo business funzioni e pensano che coi supporti fisici si possa guadagnare di più. Per quanto riguarda gli streaming gratuiti, il pubblico che li utilizza non si rende conto di essere egli stesso la merce. La musica ti attira e il servizio profila i tuoi dati. La musica non è la merce, l’ascoltatore è la merce.

Dunque apparenza o esistenza? Cos’è prioritario oggi? La musica come elemento di marketing pubblicitario o come espressione artistica di un individuo?

Come sempre… dipende! La musica ha sempre un obiettivo. Ci sono canzoni per ballare, per piangere, per innamorarsi, per urlare, per ingannare il tempo in ascensore, per fare da sottofondo mentre fai la spesa. Sta all’artista essere consapevole di cosa voglia fare. Noi siamo piccoli e liberi. Non abbiamo obblighi commerciali, nessuna pressione, siamo liberi di esprimere ciò che vogliamo e come vogliamo. Sappiamo fare rock, stiamo provando a farlo usando un linguaggio contemporaneo, con un occhio al futuro. Insomma, zero marketing e molta espressione artistica. Poi, per carità, ci sono canzoni nate con evidenti scopi commerciali che comunque ci piacciono. Non è il male assoluto. Ogni tanto uno può anche aver voglia di mangiare un hamburger invece che del brasato al barolo…

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto dei Fantasmi dal Futuro, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Il basso e la chitarra che lasciamo a fischiare da soli, davanti agli amplificatori. Oppure qualcosa dei Sunn O))) che praticamente è lo stesso, hehe.

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