INTERVISTA: MARIANNA D’AMA

Intervista di Francesco Liberatore

C’è una voce che resta, un talento compositivo innato e la capacità di penetrare dentro l’ascoltatore con un’interpretazione che non ha bisogno di artefatti per sviscerare le emozioni, né facili metafore per esorcizzare i lati più controversi della propria storia. Questa è Marianna D’Ama, cantautrice di estrazione rock con alle spalle diverse esperienze musicali che oggi si presenta in una nuova e affascinante veste solista. L’abbiamo incontrata in occasione dell’uscita dell’Ep d’esordio “Lip”: produzione do it yourself pensata libera da ogni vincolo, per questo sincera e viscerale sia nella forma che nel messaggio. Una trasparenza sinonimo di autenticità; qualità espresse con forza nel primo estratto “LEWIS25”, brano accompagnato da uno splendido videoclip che presentiamo qui in esclusiva per Just Kids.

Vorrei partire da un ricordo. La prima volta che ti ho sentito cantare è stato per un episodio del tutto fortuito, quella sera accompagnavi la bravissima cantautrice Sandra Ippoliti che si esibiva in un piccolo club abruzzese e alla fine del concerto ti ha invitata per un duetto su “Glory Box” dei Portishead. Nessuno sapeva nulla di te, nessuno si aspettava di sentire qualcun altro cantare. Ti sei alzata dalla sedia con aria quasi confusa e vagamente spersa. Poi, quando hai iniziato, c’è stato come un attimo di sospensione: con la tua interpretazione hai letteralmente afferrato il senso di quella canzone e la tua voce sembrava far trasparire un’esperienza diretta di quel sentimento raccontato. Alla prima strofa ti sei presa il pubblico come una veterana. Chi è Marianna D’Ama?

A quattro anni cantavo a squarciagola “Like a Virgin“ sui tacchi di mia madre come un’instabile equilibrista tra una folla immaginaria che mi acclamava, il mio più grande sogno. Dopo quasi 30 anni, della piccola e sfrontata Marianna in bilico, ho custodito gelosamente quella instabilità e inadeguatezza che porto a braccetto da diverso tempo, mia più grande fonte di ispirazione. Ed ora canto disorientata ad occhi chiusi, quasi ad ostacolare qualsiasi contatto con quella folla tanto ambita nell’infanzia. Cos’è successo negli anni durante questa bizzarra metamorfosi?

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C’è stato un episodio, un momento decisivo in cui hai preso coscienza della tua voce, in cui ti sei detta: “Ok, voglio provare a dire la mia”?

Dopo una infinita session di registrazioni fatte a casa in maniera rudimentale e quasi compulsiva. Ho sentito la necessità di rimettermi in gioco, da sola, di scrivere testi e musica dei miei brani. Quello che mi sono detta è stato: ” Voglio provare a dire la mia, ma voglio provarci come dico io”.

A 18 anni ti sei trasferita a Londra per un periodo piuttosto lungo. Cosa porti con te oggi di quella esperienza come persona e musicista?

E’ stata un’esperienza incredibile, forte, formativa. Nonostante siano passati diversi anni, sento ancora vivi i sentimenti che hanno caratterizzato la mia trasferta. Ricordo sicuramente la perenne ricerca di me stessa tra le folle urbane in cui ero solita perdermi in tutti i sensi, la barriera linguistica che ti porta a cercare chiunque o nessuno: confronti incomprensibili, omissioni e confusioni, stimoli e arte, musica, alcool, solitudine, autostima, costruzione e distruzione. Una piccola battaglia vinta contro la sopravvivenza. Alla fine, istintivamente, ho ritrovato la strada di casa, l’Abruzzo.

Al tuo ritorno sei entrata nei Moveonout, una band che aveva tutte le carte in regola per arrivare lontano. Cosa ti ha spinto a lasciare la band? Divergenza di vedute oppure sentivi il bisogno di comunicare solo per te stessa?

Divergenze!

Arriviamo al tuo Ep “Lip”. Ci hai lavorato a lungo producendolo in autonomia insieme al tuo fidato collaboratore Davide Grotta. Quanto è stato importante il suo contributo?

Davide… il suo contributo è stato fondamentale. Ha messo assieme i cocci rotti di frammenti audio registrati qua e là con estrema pazienza, mi ha dato soluzioni a cui io non sarei mai arrivata. Abbiamo preso mille strade impercorribili rasentando la follia compositiva e ci siamo abbracciati ogni volta che abbiamo avvertito quell’emozione comune per aver fatto qualcosa di bello, di nostro. Mi sento molto fortunata ad averlo vicino.

Un aspetto interessante è come riesci a dare una direzione ai brani: si percepisce una linea melodica portante che ci suggerisce un percorso ma l’approdo, il pathos, è una destinazione tutt’altro che prevedibile. Come componi solitamente?

Ci sono brani che ho concluso dopo un paio di anni, altri invece vengono allo scoperto dopo qualche minuto e hanno già la loro identità. D’altronde, ho scelto di portare avanti il mio progetto con un’unica costante, l’ispirazione, che spesso e volentieri viene disonorata da scadenze, tendenze, etichette, obiettivi ed esibizionismo. Comprendo perfettamente che questo modo sregolato di comporre e produrre musica mi tenga fuori da tutto, soprattutto da quei “circuiti musicali” che sembrano darti un tono, un’identità. Difatti, non cerco etichette, in tutti i sensi.

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Si avverte chiaramente la tua idea di contaminare le canzoni, di “rivestirle” con spunti che ti permettono di andare oltre una formula classica di composizione. So che ti piace sperimentare con gli strumenti, che giochi con beat di batteria estratti da pezzi funk anni ’60/’70 o che crei linee di basso con una Farfisa. Dove nasce questo tuo approccio virtuoso?

Nasce semplicemente dalla curiosità irrefrenabile di possedere uno strumento nuovo ogni volta che ne vengo a contatto. Ho comprato, rivenduto e affittato tutto ciò che ho potuto (senza imparare a suonare nulla, devo confessare).

Ho follemente perso la testa per un pianoforte qualche anno fa e da lì ho capito che avevo bisogno di un approccio molto più concreto con la sorgente musicale, avevo bisogno di suoni e strumenti veri. Ho messo da parte il pc e le tastierine midi per un po’. Dopo il pianoforte, la Farfisa acquistata per caso mi ha aperto un mondo e parallelamente ne ha chiusi tanti altri, per fortuna!

C’è un brano tra quelli dell’Ep che mi ha colpito, ovvero “Dolls”. Sembra un’ottima sintesi del tuo percorso musicale finora…

L’arrangiamento di quel brano è stato per noi un punto cruciale per dare una identità più definita al nostro progetto. Non solo, emotivamente per me ha un peso indescrivibile, ecco perché per anni ho cercato di cucire quel pezzo sulla pelle di qualcun altro, negando che quella bambola fossi io. Per la prima volta mi sono messa a nudo, evitando di edulcorare ciò che mi faceva stare male, Il testo è diretto, crudo. Le chitarre taglienti, i fiati sul finale danno quel senso di apertura e liberazione. “Dolls” per me è stata una vera e propria rivoluzione.

I’m your death kid in a concert hall

Sometimes I feel so small….

You locked me in your gazing ball,

Baby I’m pretty sure I’m gonna fall.

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All’aspetto sperimentale della musica c’è la tua voce che fa da contraltare: non fraintendere, è decisamente contemporanea per forza ed espressività ma nella suo modo di poggiare su alcune parole e marcare gli accenti manifesta una forte componente “classica”, decisamente soul. Hai un riferimento, un artista che ammiri e che ti ha ispirato?

La contaminazione è stata la mia unica scuola. Il blues, il jazz e il soul mi hanno sicuramente indirizzato verso una rotta più definita. Negli anni sono andata istintivamente sempre più a ritroso con gli ascolti inseguendo quell’attitudine e quell’autenticità che purtroppo non si insegna e che difficilmente oggi riesco a ritrovare nel bel mezzo di questa foresta musicale piena di inutili fronzoli. Quando ascolto Billie Holiday o Nina Simone mi sembra di non aver bisogno di nient’altro. Quella miscela essenziale di purezza, verità, forza e sofferenza mi dissuadono costantemente dalla voglia di scoprire se nel mondo qualcuno stia facendo della musica “innovativa”. Non è quello di cui ho bisogno ora. Attualmente le due signore del jazz hanno senza dubbio conquistato il podio.

La musica è un mezzo davvero potente per dare vita ai propri sogni e alle proprie ambizioni. Sei all’inizio di un nuovo viaggio, sai già dove vorresti che ti conducesse?

Più che dare vita alle mie ambizioni e ai miei sogni mi concentro, dopo anni, nel lasciare il giusto spazio alla necessità che ho di scrivere e suonare. Vivo la musica come un viaggio inconsapevole che ha una meta sconosciuta, non sento il bisogno di scoprire quale sia la destinazione finale. Spero di arrivarci nella più totale coerenza. Libera!

Ascolta l’Ep completo “Lip”: CLICCA QUI

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