LIVE+PHOTO REPORT: BENJAMIN CLEMENTINE @MAGNOLIA – 19/07/2018

Live report di Angela Coronella

Photo report di Marco Di Terlizzi

Questa è la mia prima volta, la prima volta che scrivo di musica.

In genere racconto di viaggi e di vintage, ma di musica non avevo mai scritto. Come accade anche per i viaggi, scrivere di musica è davvero difficile, perché tradurre in parole le emozioni che ti dona la musica non è certo una cosa semplice. Se poi l’artista di cui vuoi scrivere è Benjamin Clementine la cosa si complica ancora di più. Perché se è vero che la musica ti entra dentro e ti smuove qualcosa che nemmeno tu sai spiegare, la musica di Clementine ti provoca uno scossone emotivo a cui non riesci nemmeno tu a dare un nome, figuriamoci raccontarlo a chi ti legge.

Una cosa è certa, un suo concerto è un’esperienza che va vissuta almeno una volta nella vita. Stavolta era la mia seconda volta: avevo già partecipato al suo primo concerto a Milano nel 2015 in teatro nell’ambito dell’Elita Festival in contemporanea con il Salone del Mobile. Ho ancora i brividi a pensarci: da solo con il suo pianoforte e la sua voce che definire magica è una limitazione, a piedi nudi interamente vestito di nero, con la sua chioma afro cotonata, in quell’occasione ha incantato praticamente tutti. Ricordo di essere tornata a casa ancora frastornata, di essere rimasta in quello stato per qualche giorno e di aver ascoltato in cuffia il suo album At Least For Now per settimane (ancora oggi ricado in questa dipendenza abbastanza spesso)!

Da quel concerto sono cambiate un po’ di cose: in parte sono cambiate le sue sonorità e la tipologia dei testi, dal forte piglio autobiografico del primo album è passato a temi più di attualità nell’ultimo album I Tell A Fly, affrontati però con il suo solito angelico candore; dal palco sobrio in solitudine è passato a un palco condiviso con due musicisti particolarmente presenti sulla scena, non solo perché ogni tanto vagavano sulla scena nelle loro tute blu, ma anche perché più volte sono stati parte integrante della performance cantata e dell’interazione con il pubblico; anche la presenza di manichini femminili sul palco diretti verso l’artista e di cui uno chiaramente in attesa (possibile riferimento alla recente paternità dell’artista teneramente condivisa sul suo profilo Instagram); dal total black è passato a un total white, (sempre a piedi nudi e con chioma afro cotonata) con tanto di camicia sbottonata per il delirio femminile (quanto meno il mio, perché diciamocelo, oltre ad essere un artista incredibile dal talento straordinario è anche un gran figo!); dal concerto intimo è passato a un concerto più corale con una maggiore interazione con il pubblico: tra maledizioni (sue e nostre) alle zanzare, battute divertenti sulle nostre scarse capacità di intonare correttamente alcune canzoni, incursioni nel parterre del simpatico trio (anche dopo il concerto a firmare autografi, far foto e stringere la mano ai pochi rimasti per incontrarlo) e qualche strofa di Caruso ripetuta all’infinito perché erano le uniche che ricordasse.

Insomma, ho trovato un Clementine un po’ diverso, forse più maturo, più consapevole. Non so se questo mi piaccia davvero, probabilmente preferisco l’artista più timido e introverso del 2015. Rimane però il fatto che la sua voce, oggi come 2 anni fa, è capace di incantare anche le zanzare che ci stanno divorando e che tutti (io per prima!) andiamo in visibilio appena inizia ad intonare London, Nemesis, Condolence o Adiós e nessuno riesce a resistere al ritornello di I Won’t Complain (I dream, I Smile, I Walk, I Cry)! Certo, quell’album per me è quasi impossibile da eguagliare. La sua vita (le ristrettezze economiche che l’hanno costretto a vivere per strada e a suonare nella metropolitana di Parigi dove si era trasferito da Londra e dove viene finalmente scoperto come artista) con tutte le fasi di difficoltà e di grande forza con la quale è risorto dalla miseria (Condolence e Adiós sono due pezzi clou da questo punto di vista) sono fortemente presenti in ogni singolo pezzo di quell’album, che per me è stato anche un album estremamente terapeutico, ancora oggi il più ascoltato sul mio Spotify!

Concludo con una citazione del mio vicino di concerto che, appena si accendono le luci, mi guarda e mi dice “Non lo conoscevo, ma mi ha emozionato. A volte mi veniva quasi da piangere”. “È Benjamin Clementine fratello, non è uno di questo mondo”, mi sono limitata a rispondergli. E anche stasera torno a casa frastornata e so già che lo ascolterò di nuovo in loop ossessivo per settimane perché lui è così, travolge tutto, arriva nel profondo, scombussola tutto e non ti molla più.

Un’ultimissima chicca della serata al Magnolia: dalla trance emotiva che ormai mi provoca Benjamin Clementine ogni volta che lo ascolto dal vivo, alla fine del concerto mi sono spostata al palco più piccolo dove James Holden chiudeva la serata. Non lo conoscevo, ma è nato un altro amore (diverso, meno intenso, ma pur sempre amore). Questo però ve lo racconterò magari in un altro articolo se imparerò a scrivere anche di musica, oltre che di viaggi e di vintage.

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