INTERVISTA: IRENE GHIOTTO

Intervista di Sacha Tellini
SuperFluo è il titolo del nuovo disco di inediti di Irene Ghiotto. Secondo album dell’artista vicentina, vincitrice di AreaSanremo nel Dicembre 2012 e in gara alla 63ª edizione del Festival di Sanremo nel 2013 nella categoria Nuove proposte con il brano Baciami? e vincitrice del Premio Bianca D’Aponte nel 2015. SuperFluo, interamente scritto da Irene (testi e musiche), è stato prodotto con la collaborazione del maestro Carlo Carcano, in veste di direttore d’orchestra. L’album è stato anticipato dal singolo e video Assurdità, seguito dal secondo estratto Preghiera per tutti.
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Foto shooting: Riccardo Fochesato

Allora Irene, partiamo dal 25 ottobre, data di uscita del tuo secondo album, Superfluo. Come ha preso vita questo lavoro?
Io parto sempre scrivendo canzoni che sono tutte piccoli universi a sé stanti. Non sono partita con l’idea del disco nel suo insieme. So essere molto istintiva, anche se questo non significa che non sia stato seguito un percorso. I miei amici mi chiamano “la maga delle dietrologie” non a caso, e questi pezzi sono nati in un periodo particolare della mia vita, alla conclusione del mio tour Pop simpatico con venature tragiche. Sono stati quindi una transizione naturale tra un disco e l’altro. Quando poi li ho potuti riascoltare tutti insieme ho capito che rappresentavano qualcosa con un filo conduttore ben definito, come un piccolo atomo che stava cercando di prendere forma. La parte “razionale” è arrivata dopo, quando è arrivato il momento di definire il “suono” del disco. Ho deciso che questo album avrebbe dovuto avere un trio di ottoni e un batterista punk che non avrebbe dovuto usare i piatti ma solo i fusti. In quel momento c’è stata una volontà decisionale forte perché volevo rappresentare il mood, l’energia, la sensazione che avevo dentro di me.
Qual è il messaggio connesso a questo tuo disco?
Tendo a scrivere non partendo dal messaggio. Anche se poi, riascoltandomi, mi rendo conto che i messaggi che trasmetto sono indirizzati soprattutto a me stessa. Ma più che messaggi in realtà, li reputo segnali luminosi che mi aiutano a proseguire per una certa strada. Questo disco parla di una libertà espressiva che mi sono voluta concedere, ed è anche un tentativo di far implodere il concetto di canzone d’autrice – per dirla al femminile – perché mi rendevo conto io stessa di essere, mio malgrado, imbrigliata in uno stereotipo. Conscia del fatto che il cantautorato femminile non è un genere, perché esistono uomini e donne che scrivono musica, mi rendevo comunque conto di essere un po’ intrappolata in questo luogo comune. È per questo che Superfluo parla di un tentativo di uscire da questa scatola in cui irrimediabilmente ero finita. Avevo voglia di scrivere un disco potente, femminile ma allo stesso tempo con una punta di testosterone. È questo il concetto che vorrei esprimere, ma non sono sicura che questo sia effettivamente ciò che viene recepito. Il rischio è quello di finire in una sorta di equivoco, considerando anche il fatto che non sono ascolti semplici da fare. Ma questo, a mio avviso, è un bene. Io stessa ascolto musica che sappia farmi vedere le cose proponendomele da un’angolazione diversa. Forse il segreto di ogni musicista è riuscire a fare la musica che vorrebbe egli stesso ascoltare, anche se io ogni volta che mi riascolto vorrei prendere il computer e lanciarlo dalla finestra: il narcisismo cronico interiore ti spinge sempre a voler fare ancora meglio, c’è poco da fare.
Dei dieci brani che compongono l’album, ce n’è uno – o più di uno – che consideri come risolutore?
Piccola apocalisse è forse il brano da cui parte questo caleidoscopio mentale. È un’esplosione di energia, quasi delirante, che poi si va a spegnere e lentamente si conclude. È un po’ come quando la sera senti tutta la giornata addosso, e poi a un certo punto ti rilassi e ti addormenti. Piccola apocalisse è, in piccolo, il percorso che l’intero album ti fa fare dal primo all’ultimo pezzo.
Come è cambiata l’artista Irene Ghiotto nel corso degli anni?
Il cambiamento di Irene artista è sicuramente connesso al cambiamento di Irene come persona. Da una parte ho cercato di rendermi indipendente – a livello pratico, emotivo, tecnico – registrandomi, producendo io stessa i miei brani. È un’indipendenza anche dalle cose che mi influenzano: quello che ascolto e che mi piace mi entra infatti dentro in modo quasi inconsapevole, e lo ritrovo a volte in quello che faccio. Pertanto il lavoro che ho fatto è mettere a fuoco con maggior impegno la mia identità e singolarità. Tutto quello che faccio – nel bene e nel male – nasce da me, senza che debba render conto a nessuno. Devo però aggiungere che questa esigenza di indipendenza non è solo istintiva, è stata un po’ anche ragionata. Avere un’identità può essere la conseguenza di due processi: o si è talmente liberi, vulnerabili, esposti da essere se stessi per definizione, oppure questo processo passa attraverso un lavoro sul proprio linguaggio. Quello che io ho fatto è stato anche studiare, imparando dai grandi maestri, cosa significhi definire un linguaggio che sia originale.
Ti sei messa molto in gioco.
Facendo così, si è esposti. Se sbagli, sbagli davanti a tutti. Più rischi, più se ti va male sprofondi. Ma avendo una sola vita, che altro avrei potuto fare, se non rischiare? Fa parte del nostro lavoro.
 
Tu insegni anche canto pop, tecniche di scrittura creativa, songwriting e musica d’insieme in quella che è la tua scuola, Officine Limoni. Cosa consiglieresti ai giovani di oggi che vogliono vivere di musica?
Senz’altro di rappresentare la propria verità, quindi focalizzarsi sì sui contenuti, ma senza preoccuparsi di non averne. I giovani non sanno di cosa devono parlare. I riflettori devono essere puntati all’interno, sulla persona. Il canto deve essere emersione di una verità personale, viceversa è solo dare fiato alla bocca. Il consiglio che do, soprattutto ai cantanti esecutori, è quello di scrollarsi di dosso le sovrastrutture imitative, perché a volte non ci rendiamo conto che quello che ci piace ce lo attacchiamo addosso e poi lo andiamo a replicare, finendo per cantare con la voce di qualcun altro. Essendo un’insegnante di canto, presto molta attenzione alle caratteristiche fisiche della voce: come funziona la laringe, le corde vocali, qual è il proprio suono personale, la propria respirazione… Ma se si insegna solo quello, si crea una generazione di mostri inutili, cioè di gente bravissima che non esprime nulla. Quello che cerco di fare nella mia scuola è creare una rete, dove si canta, si creano concetti, si suona musica dal vivo, si capisce come funziona la produzione musicale, l’armonia, cercando anche di trasmettere una sensibilità all’ascolto, della musica ma anche di se stessi. La mia volontà era quella di creare una scuola dove non si fa solo pratica e si impara la tecnica, ma si conosce e ci si approccia alla musica anche col cuore: spero vivamente di esserci riuscita. Di fatto, è come se vivessi due vite: quella della performer e quella dell’insegnante. Ci sono molte scuole di musica, e quasi si abusa del concetto che si debba imparare prima di suonare. Io stessa a quindici anni in sala prove suonavo senza in realtà uno scopo preciso; ho capito solo dopo cosa dovevo fare. Quindi non è detto che essere inseriti in una scuola sia per forza annichilente, e che l’insegnamento prevalga sull’istinto. A volte si riesce a fare entrambe le cose.
Tornando a SuperFluo, in che cosa differisce dal tuo album precedente, Pop simpatico con venature tragiche?
Senz’altro per la produzione. Pop simpatico è un disco di sole voci e strumenti acustici (chitarra acustica e pianoforte, principalmente). È un disco molto asciutto e di colori pastello, anche se comunque la scrittura rimane sempre un calcio nelle palle. SuperFluo invece rappresenta una giocosità, una costruzione ritmica e una spinta musicale che è molto più accesa, tant’è che c’è la batteria, gli ottoni che gridano e la chitarra elettrica. È un disco sicuramente un po’ più rock. L’energia che si crea non è solamente una produzione della mia mente, ma un prodotto che deriva dal suonare insieme ad altri: avevo proprio l’esigenza di ritrovarmi – come a quindici anni – in sala prove per suonare, sudare e, come si suol, dire, fare schifo. In altre parole, posso dire che principalmente, è cambiato lo spirito.
Quanto è indispensabile, per te, il superfluo?
Tutto quello che è superfluo alla fine impreziosisce la vita e migliora la qualità del nostro stare al mondo. È assolutamente fluo tutto il superfluo di cui ci innamoriamo.
Per concludere, quali sono i tuoi progetti futuri in ambito artistico?
Nell’immediato, legato a questo ultimo disco, c’è il progetto di uscire dal vivo portando quindi sul palco Superfluo: saremo a Padova, Bologna, Como, Varese, Milano, Firenze… Più avanti, poi, mi piacerebbe pubblicare un libro, che sto scrivendo. Mi piacerebbe fare l’esperienza di lavorare solo con le parole, anche se ci vorrà del tempo: chissà, magari entro la fine dell’anno prossimo.
CREDITS
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Registrato da Max Trisotto presso Sotto il mare di Luca Tacconi. Masterizzato da Andrea de Bernardi presso Eleven Mastering. Prodotto e arrangiato da Irene Ghiotto e Carlo Carcano. Orchestrazione e direzione . BraCarlo Carcanoni scritti da Irene Ghiotto (testo e musica). Irene Ghiotto: voce, pianoforte, tastiere, organi, suonini e colori, percussioni. Daniele Asnicar: chitarra elettrica e classica. Davide Angelini: batteria. Trombone: Filippo Vignato. Corno: Mirko Cisilino. Trombone basso: Fabio de Cataldo e Matteo Morrassut. Copertina, concept e realizIrene Ghiotto e Riccardo Fochesatozazione: . Foto shooting: Riccardo Fochesato
Tour

19/12/2019 Bologna, Mikasa
16/01/2020 Como, Ostello Bello
17/01/2020 Milano, Arci Ohibò *in apertura a Succi
09/02/2020 Varese, Twiggy Cafè

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