LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: MATTEO TERZI

Intervista di Gianluca Clerici

Ritroviamo una bella penna “sfuggita” al nostro bel paese, che ha trovato successo in Belgio già dal talent The Voice. Un singolo come “Beetwen Us” non poteva passare inosservato soprattutto in un momento sociale come questo in cui i social sono divenuti probabilmente più importanti e concreti della realtà stessa. A tal proposito si fa prezioso il video clip di lancio diretto da Przemek Filipowicz… parlando di società, di apparenze e di verità fin troppo nascoste. Un bel pop di stampo inglese nel DNA di un buon cantautore italiano. A Matteo Terzi le consuete domande di Just Kids Society:

-Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?

La pensò esattamente come te e anche io coltivo questo dubbio, a volte penso di essere già fuori tempo massimo per capire il linguaggio del presente (sono dell’85), a volte invece mi passa per la testa la tua seconda ipotesi, quella più pessimista. Del futuro che sta arrivando ho molta paura, forse è anche per questo che la mia compagna ed io abbiamo scelto di far crescere nostro figlio in campagna, lasciando Milano per le campagne Belga, per fargli conoscere anche la vita lenta, la vita semplice, per imparare a dare  ogni cosa un nome e un valore.

E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca –  l’appartenenza al sistema?

La sua personalità la vedo nelle sonorità, ho lasciato molto spazio alle sperimentazioni di elettronica, grazie al prezioso lavoro di Giuliano Vozella e Grégoire Gerstmans. L’appartenenza al sistema sta nella forma, una forma canzone classica, solida, figlia di quelle grandi pop band anni 90 con cui sono cresciuto.

Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?

Si parte sempre da un guizzo, un intuito, un brivido completamente personale, che il più delle volte arriva dall’inconscio che lavora libero da ogni giudizio o pregiudizio. Poi è l’emisfero sinistro che entra in campo e con lo scalpello cerca di dare una forma secondo lui adatta per un ascolto più ampio, dunque pensando al pubblico. In sostanza direi quindi che uno insegue l’altro vicendevolmente e nessuno esiste senza l’altro.

E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?

Verissimo anche questo ed è una sensazione che riguarda tutti credo, chi nega il contrario per quel che ne so dice una bugia. Il concetto è sempre COME cerchi di portare a casa visibilità mediatica, se costruendo una tua linea di promozione coerente con chi sei tu, con il tuo progetto o vendendo anche tua nonna piuttosto di portare a casa un passaggio in radio.

Un brano sociale. Un brano che smuove la sensibilità di tanti che vivono la vita dietro questi social digitali. Un brano che andrebbe studiato da vicino. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?

È li, ben incollato al quotidiano. Un quotidiano in cui stiamo sempre più cercando di far assomigliare la nostra vita reale a quella che viviamo in digitale e non viceversa. Questo è impossibile perché nella vita digitale manca la complessità che viviamo nella vita “analogica”. Fare così ci porta a una dissociazione che in certi casi può essere anche molto dolorosa.

Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?

Guarda io ho la fortuna di vivere in questo momento una piccola realtà che è completamente opposta, vivo in campagna in Belgio e faccio concerti di canzoni mie in sale piccole ma quasi sempre sold out. La sensazione è che qui andare a sentire un concerto la sera sia ancora un’opzione “normale” per un gruppo di amici che vogliono vedersi, come andare al cinema o andare a mangiare una pizza. È una realtà che a Milano non vivevo più ma non saprei dirti le ragioni, non ho un’opinione chiara a riguardo.

E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?

Continuando a suonare in strada ho la fortuna di incontrare sempre tante persone, testare canzoni che sto scrivendo per capire come arrivano, e avere un feedback immediato anche economico sul mio lavoro. Non vi rinuncerei mai.

E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Matteo Terzi, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?

Al ballo mascherato di Fabrizio De Andre.

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