INTERVISTE: 10 HP (“Mantide” – Autoproduzione, 2020)

Intervista di Gianluca Clerici

Parliamo di rock, parliamo di pop rock italiano per la precisione. Parliamo del nuovo disco dei siciliani 10 HP che il grande pubblico ha conosciuto nel 2012, anno che li ha visti tra i 12 finalisti della Categoria Giovani al Festival di Sanremo. Tornano con questo “Mantide”, un disco pulito e sincero, coerente e credibile, fatto di quel mood rock di provincia, di chitarra elettrica, basso e batteria e qualche intervento elettronico a colorare ma non a sorreggere. Perché dai 10 HP ci siamo sempre aspettati verità, nel suono e nell’essere diretti responsabili dell’energia che il loro rock restituisce. In rete il video ufficiale della title track del disco.

Qualche parola di riferimento: l’omicidio del proprio amore. La mantide fa questo. Nelle vostre canzoni si condanna il benessere che abbiamo. Mi pare che tutto torni o no?

La tendenza della Mantide sarebbe questa, anche se nella nostra canzone si lascia l’ascoltatore col dubbio che a farne le spese potrebbe essere anche la “mantide”, carnefice, ma al contempo vittima dei suoi stessi atteggiamenti.

In alcune canzoni si critica e ci si autocritica sull’utilizzo sbagliato ed eccessivo del benessere.

Da tempo ormai il santo pop rock italiano sembra messo da parte in luogo dell’onnipresente indie-pop. Elettronica contro amplificatori. Secondo voi chi vince?

Non diremo mai che il rock ha perso, lo vediamo come un genere ormai “di nicchia”, speriamo per poco tempo ancora, non popolarissimo tra i più giovani, ma più vivo che mai.

Chi sono i 10 HP? Come mai questo nome molto battistiano?

I 10 HP sono 3 amici che hanno una grande passione e voglia di far conoscere a tutti la loro musica.

Inizialmente, per creare il nostro sound abbiamo cominciato ad esercitarci riarrangiando in chiave totalmente personale brani storici della tradizione italiana. Quelli che uscivano più naturali e spontanei erano i pezzi di Lucio Battisti.Fu allora immediato il collegamento al riuscitissimo sodalizio Mogol/Battisti. Il richiamo alla famosa “motocicletta” suonava bene, una sigla breve e secondo noi molto rock, perché legata ai cavalli vapore della moto.

E nonostante il nome, di quella scena italiana li avete assai poco o sbaglio?

Effettivamente col tempo ci siamo un po’ distaccati da quella scena.

Abbiamo gusti diversi in materia musicale, chi è legato più al grunge, chi al rock progressivo, chi al blues, però credo che i Police siano per tutti e 3 una grande fonte di ispirazione.

“C’è un mondo” sembra un brano uscito fuori dal disco. Decisamente beatlessiano ma davvero di un registro diverso dagli altri? Sbaglio? Perché questa scelta?

Effettivamente sembra la pecora nera del gregge.Ad un primo ascolto può essere spiazzante con suo sound morbido e un’atmosfera apparentemente più gioiosa. Lo abbiamo tenuto nell’album perché tematicamente il testo è molto affine agli argomenti delle altre canzoni, un occhio critico e sarcastico nei confronti di un certo tipo di televisione, dell’utilizzo sbagliato dei social e della società dell’apparire a tutti i costi.

A chiudere: dal vivo avete portato il vostro sound anche in Danimarca e in Russia. Come ci siete arrivati? Ci tornerete? Prossime tappe?

In entrambi i casi siamo stati invitati a suonare in contesti ed eventi organizzati in rappresentanza della musica italiana. Speriamo assolutamente di tornarci e di portare ovunque la nostra musica.

La prossima tappa, appena usciti da questa quarantena forzata, ma necessaria, sarà un tour di presentazione dell’album e poi, appena possibile, ci metteremo a lavoro per il prossimo album.

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