Addio Roberto Calasso
di Gabriella Rossi
Ieri mattina ero decisa a sfidare il caldo di Roma per un giro in libreria.
Da vera schiava del marketing, ho già regalato parte del mio stipendio da precaria alla causa zaino Einaudi, oggi mi sembrava il momento di guadagnarmi la borsa Adelphi griffata da Tullio Pericoli.
Prima sigaretta del giorno, uno sguardo veloce alla mia bolla di Twitter e leggo sull’account de La lettura una notizia che mi lascia sgomenta:
“muore a ottant’anni Roberto Calasso, tra i fondatori e presidente della casa editrice Adelphi”.
Perché ho scritto di avere una bolla su Twitter? Su quel social, al contrario di Facebook – e ancor più di Instagram – ho scelto con accuratezza chi seguire: giornalisti, editor, traduttori, blogger culturali. Come se un retweet mi permettesse di vivere nel mondo, tanto sognato e tanto studiato, dell’editoria. Questo articolo, però, nasce come omaggio all’ultimo grande editore, forse verrà il giorno in cui scriverò della mia storia di trentenne disillusa con l’unico sogno di smontare e rimontare i libri.
Muore l’editore nato a Firenze e in tanti hanno raccontato per loro cosa significano i titoli Adelphi, ricordato con commozione le parole, le riflessioni e la genialità dell’editore, scrittore e uomo Calasso.
Lascia la Terra nel giorno d’uscita di due memoralia Bobi e Memè Scianca a ottant’anni, quello che affiancato da Roberto Bazlen e Luciano Foà – quando di anni ne aveva ventuno – diede vita al programma della casa editrice Adelphi che nascerà nel 1963.
Come direttore editoriale, Calasso si era posto una regola fondamentale: pubblicare solo i libri che gli piacevano (e neanche tutti). In molti, scorrendo le nostre librerie, ci imbattiamo almeno in un dorsetto Adelphi. Io, nella mia casa romana, ho solo la Centuria di Manganelli ma m’è molto facile chiudere gli occhi e vedere il rosso intenso de La versione di Barney, uno dei primi regali del lato della libreria di casa che apparteneva a mio padre.
Molte delle mie letture formative sono targate Adelphi e mentre scrivo questo omaggio le rivedo tutte e come su una tela bianca si affollano e confondono i colori:
L’azzurrino de Il mare non bagna Napoli, il lilla del mio primo Manganelli, quel meraviglioso carta da zucchero de Il giorno della civetta e poi tutte quelle sfumature di verde per i libri di Flaiano, verde che trasmuta nel giallo della splendida riedizione di Tempo di uccidere reinserita in catalogo la scorsa estate.
Insomma, senza il lavoro di Roberto Calasso, io come molti altri, non sarei la persona che sono oggi.
Non posso far a meno di pensare da ore a Passaggi a livello di Franco Battiato, un altro gigante andato via dalla Terra pochi mesi fa. L’Italia è un po’ più povera e io mentre sfoglio il mio Manganelli qui a Roma riesco solo a pensare alla morte di Calasso come fine del Novecento, inteso come tempo che mi sarebbe piaciuto abitare.
La fine dell’ultimo grande editore costringerà tutto un settore a ri-pensarsi?
Magari riabbracciando la volontà del cuore: fare solo i libri che piacciono davvero? So bene che queste sono domande retoriche e inapplicabili a un mondo che celebra la grandezza solo quando sei morto.
Io spero che dopo l’inverno, la primavera possa esplodere in tutta la sua maestosità e che i semi di ciò che è stato – rappresentato al meglio da Calasso – possano germogliare e dar vita a una nuova editoria, a una foresta di colori o quantomeno a dei lettori consapevoli, interessati e che in futuro possano commuoversi come quelli che oggi salutano l’ultimo baluardo culturale del secolo scorso:
Addio Roberto,
e grazie per tutto il Flaiano.