Racconto diValentina Calissano
Illustrazione di Eliana Guarino
IL TRIP: Cos’è.
IL TRIP è una rubrica mensile composta da racconti ispirati da viaggi musicali mentali. Io sono Valentina Calissano e per i miei trip prendo ispirazione da una canzone, da un disco, da un singolo.
Le melodie, i suoni e il canto si trasformano in personaggi, scenari e azioni alla base di un brevissimo e intensissimo racconto. Il trip perché, in realtà, l’ispirazione è tutta un viaggio che parte da uno stimolo improvviso e inaspettato.
Un momento di illuminazione che sopraggiunge in un attimo e che preme contro le pareti del cervello, obbligandomi a trascrivere in parole le sensazioni che mi passano per le orecchie e per gli occhi. Proprio come accade con la musica.
E questa è la ragione per cui ogni canzone è in realtà una storia e ogni buon racconto ha sempre la sua colonna sonora. E allora ecco il mio primo trip. La prima avventura. In una terra dove c’è sempre il sole e se non c’è allora qualcosa sta per accadere. Buon viaggio.
Il Trip. L’ispirazione.
L’ispirazione per questo Trip è stata la canzone Orfeo tratta dall’album Meridiana, il nuovo disco del Canzoniere Grecanico Salentino, coprodotto da Mauro Durante e Justin Adam , uscito il 21 maggio per Ponderosa
Lei non ritorna
di Valentina Calissano
Una luce forte e maledetta continuava a premere contro le imposte serrate, provate dai raggi del sole sinuosi e incattiviti.
Il soffitto polveroso, ingrigito dal tempo e dai fumi, sembrava calare senza tregua sul tuo volto, immobilizzato dalla calura estiva. Tra le bianche mura pietrose, nell’indolenza dei riflessi lanciati da un alto lampadario di specchi e cristalli, si riflettevano perle di sudore che rigavano le tue scure guance. A occhi chiusi, cercavi riparo, in un mondo fatto di sogni e ricordi lontani. Ho chiesto a Morfeo di cullarti, per qualche minuto o una sola mezz’ora, e darti modo di ritemprare le membra esauste.
In un soffio di brezza fresca, il caldo si era dissolto, mentre il sole si riduceva in una effervescente pasticca bianca, lontana, gelida nel cielo oscuro. Il battere dei panni stesi a seccare ora era musica, ritmo di un tamburo danzerino nella festa di paese.
Le birre ghiacciate, profumo di sigaro nell’aria, piccole fiaccole colorate costellavano le stradine. E le gonne, gonne a ruota ampie e leggere, sottili fino a divenire trasparenti.
Fedro si avvicinò ad una figura minuta ed esile, con le caviglie brune per il lavoro nei campi. Aveva i capelli sciolti che volavano in ogni direzione, alleggeriti da volute avviluppate l’una sull’altra, l’una nell’altra. Conosceva i suoi passi: i piedi sembravano non toccare terra; vi si adagiavano per brevi impercettibili istanti solo per poter nuovamente spiccare il volo. Saltellava, come per evitare di avvicinarsi al terreno, come per proteggersi dal morso della tarantola, come per imitare una folle danza. Su quelle caviglie piccole e forti a un solo tempo girava, girava, girava.
Conosceva i suoi movimenti. Quelle braccia affusolate che volavano verso la notte, stringendo tra le dita corte e tozze un velo di pizzo bianco, candido come l’abito di una sposa.
Conosceva quel rito. Fedro raggiunse la sagoma e l’avvolse tra le sue braccia, sfiorandole la vita, senza mai ghermirla o fermarla. Non la toccò mai, ma con lei girava, girava, girava.
Un tumulto improvviso e i tuoi desideri vengono strappati via con violenza, trascinando lontano quel velo di pizzo in una torrida folata. La porta di legno antico e scuro è spalancata, ti invita ad uscire, a sfidare il sole dell’ora più calda. So che stai pronunciando il mio nome, posso leggerlo su quelle labbra tumefatte, ma la sabbia porta via la tua voce.
Quanto tempo hai dormito? Vorrei poterti dire che non ha alcuna importanza.
Agito le lunghe scure tende nella mia folle danza, sbattono le finestre spalancate dalla tempesta di terra e di afa. Ma tu con uno scatto corri alla porta. Non puoi vedermi.
Sono più veloce di te, leggera nel vento, e tuttavia non riesco a seguire i tuoi passi. Sei come impazzito a vedere quelle stoffe scure agitarsi nell’ombra. Esci dal cortile come una furia, la bocca spalancata a pronunciar parole che vengono inghiottite dal vento.
Sui ciottoli bianchi gonfi e irregolari, le suole si consumano e si aprono. I lacci dei sandali si avvolgono tra loro e si spezzano sovraccaricati dal peso delle tue gambe. Un sassolino infido, grigio e appuntito, solleva il tuo piede e per qualche attimo non sai come potrai tornare a toccare il suolo.
Non dovrai pensarci. Con il volto premuto contro il terreno e la tempia che si bagna di caldo sangue chiudi gli occhi.
Quella volta si incontrarono al ritorno dalla pesca.
Era un mattino di vento, gli ultimi petali della primavera volavano dalle nascoste profumate alture fino alla scogliera umida e saporita di salsedine. Beatrice stava aspettando segretamente, fingendo di raccogliere erbe selvatiche.
Dalle onde leggere si levò il cinguettio allegro dei canti di mare e la giovane donna dai capelli rampicanti sapeva che era giunto il momento. Fedro aveva iniziato a canticchiare, dapprima qualche parola sparsa e poi quel motivo. Lo stesso di quella sera, la sera in cui per la prima volta aveva accompagnato la sua danza.
Cantava a voce sempre più alta, cantava e cantava ripetendo il ritornello. Beatrice ormai già sapeva. E fu contenta di essere andata ad aspettarlo, a vederlo tornare.
Dopo i primi passi frettolosi, si accovacciò accanto a un cespuglio di ginestra. Nell’erba alta, il suo piccolo corpo si nascondeva perfettamente. Poteva sdraiarsi e sbirciare tra gli steli dei fiori e i rami delle fronde. Strisciò silenziosamente dietro una roccia, posizionata in uno strategico scorcio sul mare. Fedro stava ancora cantando.
Era rannicchiata dietro alle pietre, i rami di un salice proteggevano il suo volto, coperto a metà da un ampio cappello di paglia. Era al sicuro, nessuno avrebbe saputo della sua presenza.
Invece il vento tirò improvvisamente verso il mare, trascinando in acqua il pesante copricapo giallognolo.
Beatrice nascose il viso tra le ginocchia, non aveva il coraggio di uscire allo scoperto e sperava in cuor suo che Fedro non vedesse il cappello. Ad eccezione dell’acqua, qualsiasi suono taceva.
Fu allora che il canto divenne più forte e deciso, sembrava camminare, un passo dietro l’altro, fino alla minuscola tonda figura accartocciata.
Il cappello tornò delicatamente a proteggere i capelli sciolti e scuri di Beatrice che, aprendo gli occhi, trovò ai suoi piedi una cesta carica di molluschi lucidi e acquosi, coperta da fiori di campo appena raccolti. L’aria era carica di un intenso profumo di mare e di amore.
Fedro, dove stai andando?
In questa torrida estate, su questa terra abbandonata da tutti tranne che dai suoi volontari schiavi, a volte accadono avvenimenti che convivono tra la benedizione e la tragedia. A picco sul mare, sulla scogliera più alta, puoi vedere le oscure nubi cariche di tuoni e luci abbaglianti avvicinarsi alla costa. Le onde sono sempre più violente e sembrano volerti allontanare dall’acqua, sembrano volerti spingere via, lontano da queste aspre scogliere che non puoi in alcun modo scalare. Allontanati, ti prego. Lo so che non puoi sentirmi, sono sicura tu non possa più vedermi, ma ti prego, ascolta il mare che ti grida in faccia di andare via, torna alla corte che tante volte ci ha protetto come un guscio, che ha dato riparo alla nostra storia.
Porterò sempre con me quel giorno.
Sebbene avesse solo paura, Beatrice apprezzava molto la gentilezza di quell’uomo conosciuto alla festa del paese e sapeva che era giusto portargli un ringraziamento. Sulla testa, avvolta in un fazzoletto color del giglio, portava con apparente tenacia un’otre di bianca ceramica, carica del vino prodotto dalla sua famiglia. Percorrendo le ripide e strette stradine del paese, nessuno fece caso al suo passaggio: ogni giorno percorreva quel luogo portando sulle spalle o sul carretto carichi ben più pesanti, da distribuire a clienti e parenti. A volte olive, a volte vino. Ben più spesso, erano i raccolti della campagna, freschi della rugiada del primo mattino.
Questa volta era il nettare dell’uva dell’anno passato, ben stagionato e conservato fino a quel mattino.
Nessuno poteva sospettare si trattasse di un dono per un uomo. Un uomo che a sua volta le aveva fatto un regalo prezioso. Il silenzio.
Entrata a passo di danza nel cortile del pescatore, lo vide intento a rammendare una rete bucata. Fedro si alzò mentre Beatrice si chinava per appoggiare a terra il fiasco di ceramica. Finalmente potevano incrociare i loro sguardi, finalmente potevano intrecciare le loro mani. Potevano danzare, l’uno di fronte all’altra, vicini e protetti dall’ombra della corte.
Era un giorno di tempesta. Nella notte all’orizzonte, avevo visto il mare lanciare avvertimenti luminosi e ripetuti e per questo avevo tirato su l’ultima rete e virato verso la costa. La corrente aveva preso a scherzare, a trarmi in inganno e la riva sembrava sempre più lontana, nonostante l’impegno dei remi per portarmi al sicuro.
Tra le scure nuvole, pareva che il sole volesse indicarmi una presenza sopra la scogliera. Alzando lo sguardo, potevo vedere una figura minuscola, coperta da uno scialle svolazzante, farmi cenno con la mano. Urlai il suo nome, implorandole di allontanarsi, di andare via dal mare. Forse non poteva sentirmi.
La vidi ancora, in momenti diversi, in posti diversi. Voleva raggiungermi. Ma la tempesta era forte, sempre più vicina alla costa, al nostro piccolo paese.
Implorando la barca di farmi tornare da lei, sono arrivato a toccare la terra. Tutto ho abbandonato per raggiungerla, ma non l’ho più vista.
Porterò sempre con me quel giorno. Ripenso ancora a quel velo di sposa, leggero sul pelo dell’acqua, ricamato di fiori e volute di pizzo, che danzava sulle onde trasparenti, leggere e profumate, del mare quieto dopo la tempesta. Tra i legni spezzati e le reti maciullate, tornava a riva per poi sparire nel mare.
Ora sono qui, le acque nuovamente in tempesta, pronte a travolgere questo luogo isolato e dimenticato dal mondo. Sul ciglio della scogliera più alta, come lei quel giorno, grido invano il suo nome.
Ma lei non ritorna.
CREDITS
MERIDIANA – CANZONIERE GRECANICO SALENTINO (Poderosa, 2021)
Tracklist
BALLA NINA
ORFEO
PIZZICA BHANGRA
LU SITTATURU
NINNARELLA
STORNELLO ALLA MEMORIA
VULÌA
QUANNU CAMINI TIE
TIC E TAC
NTUNUCCIU
RONDA
MERIDIANA
CGS
Mauro Durante: frame drums, violin, vocals, direction
Giulio Bianco: recorders, whistles, clarinet, harmonica, zampogna
Emanuele Licci: vocals, bouzouki, guitar, battente guitar; tamburello on Ronda
Massimiliano Morabito: diatonic accordion
Giancarlo Paglialunga: vocals, tamburello, calebas
Alessia Tondo: vocals, castanets; tamburello on Ronda
Silvia Perrone: dance
FEATURING
RED BARAAT
Sunny Jain – dhol, effects
Lynn Ligammari – soprano saxophone
Sonny Singh – trumpet
John Altieri – sousaphone
Enzo Avitabile: voice and pentarpa on Tic e Tac
GUESTS
Justin Adams: electric guitar
Giacomo Greco: synth, sound design; additional production on Balla Nina, Pizzica Bhangra, Lu Sittaturu and Ninnarella
Valerio “Combass” Bruno: electric bass
Antonio “Dema” De Marianis: additional percussions on Tic e Tac
produced by JUSTIN ADAMS & MAURO DURANTE
mixed by Francesco Aiello at Boombox Recording Studio
Mastered by Tim Oliver at Top Cat Studios
executive production by Titti Santini
front cover by Luca Coclite
visual project by Luca Coclite
photos by Francesco Sambati
Music videos direction and concept by Gabriele Surdo
Brava.
Grazie dei complimenti, Daniele! La nostra Valentina Calissano ha avuto una bellissima idea: scrivere storie ispirandosi alla musica.