LETTERATURA: Gabriella Rossi – Dovuto a Calvino

A cura di Gabriella Rossi

Scrivere di Italo Calvino ha sempre implicato un esercizio accademico: i suoi libri sono stati l’oggetto dello studio per la mia tesi di laurea; tuttavia ridurlo allo scrittore che ha sancito il fatto di essere dottoressa in filologia moderna equivarrebbe a fargli un torto non da poco. Calvino è il mio autore. Ogni avvenimento degli ultimi ventinove anni esiste in micro cornici nelle quali io mi muovo seguendo gli insegnamenti della sua penna.

Chiunque mi conosca sa di questo amore letterario, viscerale tanto da fagocitare tutto il resto. Ho passato avventure lunghe notti a leggere, viaggi in treno tenendo stretto un suo romanzo, giorni interi a studiarne anche le virgole. Eppure non smette mai di stupirmi. Ho amato, vissuto, odiato e imparato tanto grazie a Calvino.

A cominciare da Marcovaldo, il mio primo libro senza le figure, passando per la scoperta de Gli amori difficili, poi Ariosto e il Visconte, il Barone e il Cavaliere. Per continuare con i saggi, le traduzioni e le lettere, poi Le città invisibili e in fine l’incontro con il signor Palomar. La parola fine alla mia storia con Calvino non potrei metterla nemmeno volendo. Anche se ho letto tutto, è a lui che ritorno quando ho bisogno di risposte, quando ho il blocco del lettore, quando mi serve un amico.

Oggi, in occasione del suo compleanno, provo a vincere la paura di scadere nell’accademico per raccontare tre libri a mio avviso fondamentali per intraprendere il viaggio nell’universo Calvino.

Il Barone Rampante

Il secondo romanzo facente parte della Trilogia dei nostri antenati viene pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 1957 nella collana I coralli. Liberatosi dalla voglia di scrivere il grande romanzo sulla Resistenza, è con la storia di Cosimo Piovasco di Rondò che idealmente nasce Calvino.  Se Il Visconte dimezzato non era – per sua stessa ammissione – molto amato da Italo, al giovane barone deve l’inizio del suo successo come romanziere.

Anche se, a dimostrazione della sua capacità di calare il reale in una cornice fantastica, aveva già all’attivo Il sentiero dei nidi di ragnocon Il Barone Rampante riesce a creare un personaggio storicamente passato ma che si staglia attraverso il tempo, fino a diventare a mio modo di vedere l’archetipo della libertà: non selvaggia ma illuminista.

Cosimo sceglie di svestire i panni del barone per salire sugli alberi e da lì non scenderà più. L’avventura che comincia come un capriccio diviene una regola da seguire sino allo stremo. Nella sua repubblica arborea insegue la conoscenza, l’amore, la giustizia e osservando le cose dall’alto è capace più degli altri – persino più di Napoleone! – di carpire il senso della vita.

Cosimo Piovasco di Rondò – visse sugli alberi – amò sempre la terra – salì in cielo.

Perché leggere Il Barone rampante?

Questo libro andrebbe letto e ciclicamente riletto ogni volta che si avverte una mancanza di ossigeno.

Cosimo mi ha insegnato questa cosa: crescere fa male e da adulto mille cose possono ferire, ma se hai una regola da seguire – e da applicare a ogni campo dell’esistenza – sarai libero. Libero di: essere te stesso, deriso, apprezzato, odiato, incompreso, geniale, banale, umano e unico.

 

Le città invisibili

Siamo nel 1972 e Calvino da qualche anno viaggia tra la Francia e l’Italia. Ha una casa nella capitale, con un’enorme libreria che affaccia sulle strade parigine. La città è in fermento sociale, politico e culturale. Da qualche anno sono l’OuLiPo – opificio della letteratura potenziale – e le ricerche sulla semiotica e lo strutturalismo a influenzare Calvino. In particolare il rapporto con Queneau stimola Italo ad avvicinarsi alla letteratura combinatoria.

Le città invisibili costituiscono la summa dei vecchi e nuovi interessi dell’autore: sogno, fantasia e un protagonista in grado di mettere ordine nel caos. Il protagonista è Marco Polo che si trova al cospetto di Kublai Khan, questi invita l’esploratore veneziano a raccontare delle città visitate nel suo lungo viaggio. Marco Polo, nella versione calviniana, non si limita a una descrizione fisica: porta per mano l’imperatore dei Tartari alla scoperta di emozioni, sapori , rumori e sensazioni vissute nelle città (che hanno tutte un nome di donna e non quello storico e reale).

Calvino costruisce le sue Mille e una notte con scopo non la salvezza ma la conoscenza del mondo e dei segreti più intimi dello spirito umano. Italo, attraverso la scomposizione della narrazione, invita il lettore al gioco: perdersi tra le strade di Zenobia nella ricerca della felicità, percorrere le vie di Eufemia inseguendo le parole giuste o ad affrontare la vita anche se sembra un oblio come a Pentesilea.

Perché leggere Le città invisibili?

Perché rappresentano uno tra gli esempi più puri di poesia in prosa.

Italo Calvino, da architetto della parola, costruisce geografie possibili in uno scenario fantastico. Inoltre, dando a ogni città un nome di donna, chiunque può riconoscere un pezzo di sé. Ad esempio, io ho trovato qualcosa di me in Fedora. E per quelle pagine porto a Calvino estrema gratitudine.

P.S.: Sul tema dell’invisibilità, negli anni ho riguardato spesso questa intervista e l’invito – per un’analisi approfondita del periodo francese di Calvino – è quello di leggere Un eremita a Parigi.

Palomar

Rileggendo il tutto m’accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: “Un uomo si mette in marcia per raggiungere passo passo la conoscenza: non è ancora arrivato”.

L’anno di uscita di Palomar è il 1983, si tratta di una rielaborazione narrativa di articoli comparsi sul Corriere La Repubblica, riflessioni sul mondo in una prospettiva cosmica. Il romanzo è strutturato in tre parti e diviso in altrettante aree tematiche: esperienza visiva, elementi antropologici e esperienze speculative.  Quanto più si procede nella lettura, più si comprende che il signor Palomar non è che un alter ego dello stesso Calvino. I due possono essere sovrapposti: la famiglia, i viaggi e finanche la miopia accomunano il personaggio e il suo creatore.

Allora, non è sbagliato vedere in questo libro un’opera di autobiografismo circoscritto e qui c’è il motivo per cui bisogna leggere il libro.

Perché leggere Palomar?

A mio modo di vedere, questa lettura dovrebbe essere l’ultimo atto nell’approccio a Calvino, ma si può cominciare anche da qui, a patto di servirsi in maniera scientifica delle sue riflessioni. Senza dimenticare che, sotto al disincanto, ci sono sepolti mille personaggi e altrettante vite del suo autore.

Avrei da scrivere ancora ma scelgo di fermarmi. Troppa è la paura di aver scritto male e in burocratese di un uomo che ha significato tanto nella storia della letteratura italiana. Avrei potuto raccontare di Pavese e Perec, del perché amasse tanto Ariosto, del fatto che si sentiva newyorkese, della ricerca scientifica, della paura di non essere abbastanza bravo, del lavoro di editor – per la cui analisi rimando ai Verbali del mercoledì targati Einaudi – e centinaia di altre facce del mio autore.

Oggi, però, sarebbe il suo compleanno e visto che ogni aspetto della mia vita in qualche modo è dovuto a Calvino: senza le sue parole non sarei chi sono. 

Quindi è così che gli faccio gli auguri, servendomi di una citazione da Le lezioni americane: grazie maestro perché nell’assedio dell’esistenza mi rimetti sempre in ordine.

“Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”.

 

In copertina

Italo Calvino by Arturo Espinosa – www.flickr.com/photos/espinosa_rosique/12790934403

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