INTERVISTA: Lucilla D’Eredità – Il cerchio non è squadrato [Pav edizioni]

Intervista a cura di Fabia Tonazzi

 

Lucilla D’eredità, autrice della raccolta di poesie Il cerchio non è squadrato (Pav edizioni), racconta la sua vita attraverso le sue liriche. Cosa avrà reso le sue poesie così emozionanti? Impossibile restare indifferenti di fronte ad alcuni versi e parole. Conosciamola insieme.

notte

 

Lucilla, la notte per te che valore ha? Nella poesia La notte scrivi “Quando di quel giorno non resta più niente”.

Ogni giorno è unico e, purtroppo, tutti noi sprechiamo in parte o totalmente più giorni della nostra vita, ma d’altra parte non possiamo evitarci qualche fuga, se siamo sufficientemente sensibili, a mio parere; credo sia importante accorgersi almeno che il giorno passato non tornerà più.

La notte, con la sua oscurità ed il suo silenzio, è prefigurazione della morte ed infatti non è un caso che chi vive un’esperienza di solitudine si senta particolarmente solo la sera, quando è più difficile distrarsi dalla nostra precarietà. Così, nella notte, puoi far esperienza della tua appartenenza al tutto, ma anche del tuo appartenere al niente e della tua fragilità.

Che visione hai della morte? Leggendo il quadretto La mia morte non è a tema si colgono delle sfumature ironiche ma allo stesso tempo tristi.

La morte convive con noi insieme alla vita, ma la morte proprio in senso stretto non può essere motivo di particolare tormento: sarebbe bello vivere pienamente e per sempre, ma questa non è la realtà. Anche per chi crede in una vita ultraterrena, questa esistenza, più nota e toccata con mano, ha in ogni caso una fine. Mi sono detta che sul letto di morte, se ne avrò uno,  se avrò cercato d’amare e di costruire, probabilmente non sarò disperata. Vorrei che la mia morte fosse preceduta dalla mia vita, anche fatta di errori, fughe ed inconsapevolezze, ma tentativo almeno di vivere e, quindi, d’amare, però senza masochismi. Insomma, d’amare in modo possibilmente non malato, non da vittima.

margherita

Lucilla, che rapporto hai con le margherite, con i fiori in generale?

La margherita è il titolo dato alla poesia apparentemente più facile ed infantile del libro. In realtà, questa poesia contiene per me la risposta alla domanda sul senso della vita e la esprime in modo semplice ed immediato. Ho scelto la margherita perché, tra i fiori, mi pare quella più familiare ed essenziale; è candida con un grande cuore giallo che rimanda al sole e non può vantarsi neppure d’emanare un profumo gradevole; la trovi nei prati ed ha uno stelo abbastanza robusto eppure, come tutti i fiori, è anche metafora della fragilità della vita e della sua brevità.

Per questo amo i fiori: sono immagine della precarietà dell’esistenza e sono particolarmente preziosi perchè poco durevoli, così come siamo noi, anche quando viviamo cent’anni; sono immagine della bellezza e di tutto ciò che ha valore: vanno trattati bene se non vogliamo perderli prima del tempo.

Poi i fiori sono fragili eppure resistono alle intemperie ed alcuni ostinatamente riprendono vita anche dopo le tempeste estive; pure per quest’aspetto sono come noi, a volte deboli eppure dotati di risorse inaspettate che si manifestano quando meno ce l’aspettiamo.

Lucilla, quando parli del dolore nella poesia “Lo schianto a che tipo di dolore ti riferisci?

Lo stesso protagonista della poesia dà una risposta: “Quale dolore?/ Non cercare un motivo:/ vola il cuore/ ed ogni dolore gli si attacca”. Il dolore è parte della vita, strutturale alla vita stessa, presente nel ricordo del passato perché passato, presente nel limite e nell’oscurità dell’oggi, in quanto nella nostra realtà luce ed ombra convivono e ci abitano e noi cerchiamo di mantenere un equilibrio precario e di usare i nostri fragili strumenti per imparare ed amare attraverso dolore e gioia.

Quanto la saggezza dei Vecchi ha influito nella tua vita?

Ci sono delle frasi e delle esperienze dei miei nonni che costituiscono un tesoro depositato nel mio cuore; come spesso capita, ne ho capito meglio il significato invecchiando anch’io. L’esperienza di chi ci ha preceduto non può e non deve sostituirsi alla nostra esplorazione della vita. Non credo, cioè, che dobbiamo utilizzare l’esperienza altrui per non provare e non correre rischi, ma certi suggerimenti e certe riflessioni di chi ci ha preceduto possono aumentare la nostra consapevolezza d’essere parte d’una storia familiare ed umana e d’essere responsabili del nostro cammino, della nostra avventura nella vita, di quello che costruiam. E quello che sopravvive ai nostri vecchi è un tesoro importante che non si misura, a mio parere, secondo parametri di successo nel campo economico, lavorativo e neppure familiare, cioè figli belli e bravi, coniuge devoto e matrimonio stabile, o non necessariamente.

Chi sono Renato e Claudia, nomi che citi nel quadretto La scommessa?

Sono tra i protagonisti di quel brano in prosa. Spesso scelgo i nomi con attenzione al loro significato etimologico ed infatti Renato, dopo una terribile esperienza, ha in dono dalla vita la possibilità di rinascere.

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