LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: LE ROSE E IL DESERTO

Intervista di Gianluca Cleri

Luca Cassano ha questa voce che sembra sgomitare dentro il mix di un disco che ricerca il dettaglio e le piccole cose. Sarà anche il pregio di una direzione artistica firmata da Martino Cuman, sarà anche l’umile resilienza che traspare dalle liriche alle dinamiche. Insomma “Cocci Sparsi”, nuovo disco per il progetto Le Rose e il Deserto, ci sembra un lavoro umano, di pelle e di ossa, di elettronica certamente ma senza alcun tipo di presunzione. E sembra quasi possibile raccoglierlo da terra come si fa con i cocci… c’è della verità e dunque indaghiamo dentro le belle tinte delle nostre domande sociali…

Questa stagione di Just Kids Society vuol parlare di futuro. Una cosa incerta sotto tanti punti di vista. Parliamo del suono tanto per cominciare. Ormai i computer hanno invaso ogni cosa. Si tornerà a suonare la musica o si penserà sempre più a come comporla assemblando format pre-costituiti?
Credo che le due forme co-esisteranno, come hanno sempre fatto e che continueranno a ibridarsi. Il vero tema di discussione credo debba riguardare piuttosto la qualità dei suoni che vengono impiegati, sia dei suoni acustici che di quelli elettronici, la qualità degli arrangiamenti, e soprattutto la loro originalità. E poi le storie che si vogliono raccontare: senza storie “vere”, oneste, onestamente emozionate ed emozionanti, non si va da nessuna parte,

Sempre più spesso il mondo digitale poi ha invaso anche la forma del disco. Ormai si parla di Ep, di singoli. Di opere one-shot dal tempo limitato. Qualcuno parla di jingle come forma del futuro. E dunque? Se da una parte c’è maggiore diffusione, dall’altra c’è maggiore facilità di produzione. Dunque… chiunque può fare un disco. Un bene o un male?
Chiunque può fare un disco, è vero, ed è un bene e un male allo stesso tempo (lo so, non riesco a dare mai risposte nette, ma è la vita che è complessa, mica io che sono sfuggente). E’ tutto molto più semplice, più rapido e più economico e questo non può che essere un bene. Io per esempio, non avrei mai potuto fare un disco venti anni fa; forse non ci avrei mai neanche pensato. L’altra faccia della medaglia è ovviamente che il mercato si è allargato in maniera incredibile: ogni giorno escono centinaia di brani per ogni singolo genere musicale, e questo rende molto difficile raggiungere un pubblico e farlo diventare il proprio pubblico. Ma si sa, la vita è complessa 🙂

La pandemia ha ispirato e condizionato molta parte dell’arte di questo tempo. Ma sempre più spesso gli artisti inneggiano ad un ritorno a cose antiche, ataviche, quasi preistoriche come certe abitudini, come un certo modo analogico di fruire la musica. Insomma, ha senso pensare che nel futuro si torni a vivere come nel passato?
A me sembra che immediatamente dopo la crisi pandemica siamo tutti tornati alle vecchie abitudini, belle o brutte che fossero. Abbiamo modi di vivere, di esprimerci, di pensare, così profondamente radicati che è ardito pensare che qualche mese di semi-clausura possa scardinarli. Quello che vedo però, almeno nella mia personalissima esperienza, è che la pandemia ci ha lasciati più soli, più disconnessi dagli altri, meno capaci di tessere relazioni umane che vadano oltre la superficialità e il monitor del telefono, e questo, si, è un vero dramma.

Ed è il momento di scendere dentro questo disco. “Cocci sparsi” sembra un disco di contemplazioni, di sospese armonie, di attese anche. Una finestra dentro cui si chiede lentezza e silenzio nello sguardo da dare alla vita che ci circonda. Tutto questo arriva forte ma è anche in decisa controtendenza con quel che accade nelle abitudini quotidiane. Come pensi si rapporti con il pubblico abituato a correre dentro trame digitali sempre uguali?
Credo che “Cocci sparsi” si allinei perfettamente con la mia attitudine alla vita: calma contemplazione del caos che mi vortica attorno. Mi piace tenere un passo più lento rispetto alla vita in cui sono immerso; questo non vuol dire che io vada piano o che arranchi dietro alle cose, tutt’altro. Semplicemente mi piace, ma in realtà è anche un bisogno, osservare e analizzare, capire le motivazioni, i pensieri, e poi accumulare, ricordare. Credo che il mio pubblico (mi fa sempre molto ridere usare l’espressione “il mio pubblico”) questo lo sappia, o quanto meno lo percepisca: sui miei social io condivido poesie, sia mie che di altri, poche foto, quasi mai la mia faccia. Insomma, la mia scelta è stata di scomparire per quanto possibile, e anche la scelta del nome del progetto va in questa direzione di spersonalizzazione.

Anche in questa stagione riproponiamo una domanda che sinceramente non passerà mai di moda anche se le statistiche un poco stanno dando ragione a tanti come noi. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. E Spotify è uno di questi. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
Si, sono d’accordo, è assolutamente un paradosso, ma la vita è piena di paradossi. Purtroppo se oggi fai musica e non sei ascoltabile su Spotify praticamente non esisti o quasi. Ma funziona così per tante cose: penso a Booking, Netflix, Amazon. Questo non vuol dire che sia giusto o che sia facile, semplicemente è così. Spotify ha avuto negli anni la capacità e la forza (aiutato da noi ascoltatori) di imporre un modello che fa si che a guadagnare dalla riproduzione della musica sia soltanto Spotify stesso e che gli artisti, i proprietari della musica, siano “costretti” a stare in questa giostra pur non guadagnandoci nulla: dal punto di vista imprenditoriale è impeccabile, purtroppo.

Siamo nel tempo dell’apparire. Come ci si convive? Si esiste solo se postiamo cose? E se non lo facessimo?
Purtroppo si, siamo nel tempo dell’apparire, ma non è vero, secondo me, che siamo obbligati a starci dentro, o almeno non siamo obbligati a starci dentro e a farci dettare le regole. E’ una questione di obiettivi che ci si pone: io, per esempio, ho 37 anni, non raggiungerò mai “il successo”; semplicemente coltivo la mia nicchia, coccolo quelle poche persone (che per me sono già tantissime e importantissime) che apprezzano le cose che faccio e quasi quotidianamente gli regalo le mie parole, con le mie canzoni e poesie. Siamo comunque sempre e solo noi a decidere come e quanto apparire, se mostrare il piatto che stiamo mangiando oppure condividere la poesie che stiamo leggendo o che abbiamo appena scritto.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto de Le Rose e il Deserto, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Uh che domanda complicata 🙂 Ti do una risposta di pancia: “Compagni di viaggio” di Francesco De Gregori.

https://open.spotify.com/album/4I1BvtbbRlVk0nnpBUeNJb?si=-dzml1iJQPqqQXVCDRg4tw

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