LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: CAL BIRBANTHE

Intervista di Gianluca Cleri

Quando le tinte di rock raccontano storie e lo fanno anche aggrappandosi ad un gusto vintage che mai dispiace, soprattutto dentro un tempo assurdo come il nostro. Dalla penna di Cal Birbanthe ovvero Calogero ‘’Carlo’’ Spanò al suono diretto da Riccardo Sidona. Il pop italiano che prende derive R’n’B fino a farsi funk e acide di un retrogusto americano. Inevitabile pensare ai risvolti sociali di questo disco dal titolo, manco a dirlo, “Storie”. Ed eccovi dunque le risposte di Cal Birbanthe alle nostre consuete domande di Just Kids Society:

Questa stagione di Just Kids Society vuol parlare di futuro. Una cosa incerta sotto tanti punti di vista. Parliamo del suono tanto per cominciare. Ormai i computer hanno invaso ogni cosa. Si tornerà a suonare la musica o si penserà sempre più a come comporla assemblando format pre-costituiti?
Il punto centrale è l’idea. Bonobo con dei format quasi pre-costituiti tra un paio di synth e controller midi, ci ha fatto capolavori. Così come John Williams, facendo registrare le sue colonne sonore a circa settanta elementi in orchestra, ha fatto altrettanto.


Sempre più spesso il mondo digitale poi ha invaso anche la forma del disco. Ormai si parla di Ep, di singoli. Di opere one-shot dal tempo limitato. Qualcuno parla di jingle come forma del futuro. E dunque? Se da una parte c’è maggiore diffusione, dall’altra c’è maggiore facilità di produzione. Dunque… chiunque può fare un disco. Un bene o un male?
Fin quando si riesce a cogliere la sostanza in ciò che viene prodotto allora non sarà un problema. La sostanza (bella, brutta, ribelle, alternativa, caotica) rimane; tutto il resto buttato in note, così, tanto per (forme su forme, estetica su estetica), cadrà nell’ombra.



La pandemia ha ispirato e condizionato molta parte dell’arte di questo tempo. Ma sempre più spesso gli artisti inneggiano ad un ritorno a cose antiche, ataviche, quasi preistoriche come certe abitudini, come un certo modo analogico di fruire la musica. Insomma, ha senso pensare che nel futuro si torni a vivere come nel passato?
Non è detto che tutto quello che ha funzionato al passato possa necessariamente funzionare al presente. È normale, perché il contesto non è lo stesso. Però, tutta l’arte si è sempre volta creativamente al passato. Il passato ti fornisce regole e modelli, che poi puoi decidere di abbattere nel presente, creando il futuro. Lo diceva Picasso: “Impara le regole da professionista, per poi infrangerle da artista”.

“Storie” è un disco che sembra provenire da quartieri di grandi città metropolitane, pomeriggi invernali, diari di scuola ma anche primi anni universitari… e sono i novanta gli anni migliori. E dunque oggi come comunica e cosa alle generazioni che sono sempre connesse, apolidi e automatiche?

A parte le amiche e gli amici che mi seguono musicalmente, e che hanno più o meno la mia età, ti dirò che anche i miei alunni/e di terza media si rivedono in quelli che sono pomeriggi invernali, diari pieni di note, litigate fra genitori e primi fidanzamenti, citandomi singoli dell’album come “Storie” o “I Wanna Stay”. Alla fine, i sentimenti sono sempre quelli e, nonostante si prediliga la connessione, non è sparita la voglia di uscire tra i quartieri e condomini della propria cittadina.


Anche in questa stagione riproponiamo una domanda che sinceramente non passerà mai di moda anche se le statistiche un poco stanno dando ragione a tanti come noi. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. E Spotify è uno di questi. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
Ammetto che mi ha fornito e continua a farlo, un sacco di conoscenza e robe nuove d’ascoltare. Ma dall’altro lato se ho deciso ad oggi di non stampare ancora questo disco, è colpa di piattaforme come Spotify.

Siamo nel tempo dell’apparire. Come ci si convive? Si esiste solo se postiamo cose? E se non lo facessimo?
Bisogna trovare un equilibrio. Non sono del tutto contro l’immagine, d’altronde è una caratteristica del Pop a partire dagli anni 60. Certo è che non possiamo dare più importanza alla forma e tralasciare il contenuto. Questo sarebbe un disastro per tutta la musica.
Mi chiedi, “E se non lo facessimo?’’. Resti fuori, ai margini. Conosco amici musicisti, cantanti, artisti e scrittori, rimasti all’angolo. Adattarsi, con equilibrio ma adattarsi, altrimenti, come i dinosauri…

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Cal Birbanthe, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
La meravigliosa e struggente versione di “It Never Entered In My Mind” di Miles.

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