VIDEOIDEE: Epistory, scrivere una storia giocando

A cura di Davide Iannace

Epoche vittoriane alternative e strane creature per un viaggio unico

Nuovo anno, ricominciamo anche con la rubrica Videoidee. Una puntata, questa, che si concentra su un gioco che riprende vecchi temi ma lo fa con forme nuove. Perché, le idee a cui facciamo riferimento non sono sempre soltanto nella costruzione ideale ma, a volte, anche nella struttura. Particolarmente calzante, è il caso del protagonista del giorno, Epistory – Typing Chronicles, dei belga Fishing Cactus.

 

Il gioco lo potremmo definire un origami che si dipana in carta lentamente man mano che si avanza. La trama ci viene data ai cosiddetti mozzichi e bocconi, non capiamo fin da subito dove ci troviamo. Possiamo quasi comprendere che siamo in un mondo immaginario, metafora di quello reale. Siamo una musa per uno scrittore che attraversa un grande blocco? Ma perché? E come soprattutto? Letteralmente, nel gioco siamo una ragazza, appena accennata in visuale asimmetrica, a cavallo di una volpe dalla multipla coda, mentre percorre un livello chiamato Bridge. Come capiremo presto, è un ponte tra diversi momenti della vita – e delle scoperte – di quella che è la musa dello scrittore, ma anche la protagonista della storia, colei di cui raccontiamo la storia.

Una storia che, come suggerisce il titolo del gioco, viene raccontata scrivendo. Durante il gioco, la nostra eroina-musa incrocia mostri, insetti, ma anche ostacoli, da eliminare scrivendo. È un gioco che non vede mai impiegare davvero il mouse, ma scrivere, battere a macchina, ogni singolo elemento. In inglese – un deficit per chiunque non parli e non scriva in inglese, bisogna ammettere – si inseriscono volta per volta tutte le parole, eliminando gli ostacoli e risolvendo gli enigmi che andiamo trovando in giro per le diverse mappe.

Ogni enigma, man mano diventa una traccia nel passato della protagonista, nelle sue storie e avventure, che siano tristi o felici. Diventano anche tracce però questi enigmi di un percorso di cambiamento, di crescita, di riflessione. Lo o la scrittrice che tende la storia e cerca ispirazione – per un motivo che non vi diciamo ma che viene chiaramente fuori alla fine di tutto – ripercorre passo per passo la crescita, così come i dubbi, i momenti di debolezza, di vittoria, di sconfitta.

 

Lasciando poche immagini come segni della storia che si va percorrendo, da comporre man mano che il gioco avanza, più che un tentativo di dar vita ad una narrazione nella narrazione, lo scopo del gioco sembra essere quello di circondare di parole e di sentimenti il giocatore, in un lento cadere in uno stato di riflessione che viene battuto a tempo di macchina.

Questo stesso battere, continuo, sulla tastiera, diventa un atto quasi di diarizzazione del gioco. Non più soltanto gioco e attività ludica, ma in un certo momento, un continuo scrivere. Certo, nella meccanica del videogioco questo scrivere è necessario alla sopravvivenza del personaggio durante l’avventura, ma diventa catarticamente un atto interattivo a modo suo innovativo, e al contempo capace di immergere densamente il giocatore all’interno del turbinio di sentimenti ed emozioni che man mano vengono fuori dai vari livelli.

Gli stessi poteri che la protagonista ha, ovvero le parole di fuoco, ghiaccio, vento o elettricità, ci rimandano alla semantica stessa delle parole, nonché al loro noumeno, alla loro essenza. Le parole di ghiaccio, fuoco, vento ed elettricità rappresentano il concetto, ma sono anche il concetto. Nel gioco, in particolare, le stesse parole sono il potere stesso. È una riflessione che lentamente avanza, quello del potere delle parole stesse. Il nome delle cose ci dà la sensazione non solo di conoscere le cose, ma anche di poterle affrontare. I nemici più potenti avranno parole più complesse tramite cui essere sconfitti, come geroglifico o denazionalizzazione. E crea una strana sensazione questa connessione tra complessità della parola e del nemico.

Non che parole come luce o abisso rendano il nemico meno pericoloso – un colpo solo basta per costringere lo scrittore a interrompere la scrittura, e quindi il livello, e ricominciare un combattimento o un livello. La complessità delle parole diventa però un momento di strana quiete, di ripresa di una coscienza. Molto dello scrivere viene istintivo, lo si può notare facilmente semplicemente stendendo una mail al computer.

Questo tipo di comportamento meccanico si ripete brillantemente nel gioco. Eliminare ostacoli e nemici diventa rapido, immediato, perché si lega all’azione automatica dello scrivere semplici parole su una tastiera ben conosciuta. È un po’ come un flusso di pensieri, un po’ un racconto di James Joyce. Si scrive senza punti e virgole, alimentando con la velocità della tastiera lo svolgimento del gioco. Diventa, se non una corsa, un rincorrere l’esperienza e ciò che potrà portarci.

Arrivano poi gli enigmi a spezzare il ritmo, ma anche i nemici più grandi, consistenti, insieme alle loro parole difficili, al loro costringerci a muovere gli occhi, guardare la tastiera, fermarci, a volte ricominciare. Una struttura, questa, geniale. Per un gioco che vuole metaforizzare l’esperienza del crescere guardandola attraverso le parole dello scrittore, o scrittrice, mentre viene ispirato dalla sua musa, allora tanto il processo di crescita che di scrittura – e quindi creativo – diventano improvvisamente momenti consci e inconsci che il gioco rimette improvvisamente in risalto.

Il gioco, nella sua brevità relativa, riesce per questo a rendere questo meccanismo non noioso. Si sussegue la storia fino al suo culminare finale, allo scoprire il senso che lo sviluppatore voleva dargli, ma con una sensazione ulteriore di auto-riflessione condotta dal giocatore stesso. Alla fine, la storia narrata è una delle storie possibili, ma in fondo quel blocco che lo scrittore affronta è lo stesso blocco del semplice esistere, del prendere una scelta, del fantasticare così come del vivere reale. Colorato, apparentemente fiabesco, quasi come un mito fatto libro, Epistory rimane saldamente però dentro il suo spazio di essere un percorso, non solo un gioco.

Fa parte di quella piccola, sempre più grande, schiera di giochi indipendenti – non sempre, ma spesso – che mirano a creare non solo intrattenimento, ma risposte e riflessioni. Come bei libri, di quelli che rimangono un po’ come cicatrici dopo che le copertine sono state sigillate, giochi come Epistory tentano con gradi diversi di successo di rimanere impressi nella mente e nella memoria delle persone.

 

Che il tentativo sia riuscito o meno, questo sta solo ai giocatori stessi dirlo.

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