Per la rubrica Las nenas entrevistan incontriamo il cantautore Gimbo
Ciao Gimbo, benvenuto nella nostra rubrica Las Nenas entrevistan. Nella nostra rubrica diamo spazio principalmente ad artisti che hanno un legame con la Spagna e il Sud America, ma ci teniamo a precisare che vogliamo essere multiculturali, senza confini proprio come la tua musica. La tua musica, influenzata principalmente dal reggae, è ricca di sonorità provenienti da tutto il mondo, è un incontro di culture. Ci racconti come nasce la tua passione per la musica e questa tua attenzione e ricerca di sonorità del mondo?
Ciao e grazie per l’ospitalità. Il mio interesse per la musica inizia da piccolo. Sono cresciuto in periferia e, a quei tempi, cominciavano a insediarsi nei quartieri le prime scuole di musica. Nel mio caso, al Tiburtino di Roma, c’era una scuola popolare di musica dove alcuni insegnanti provenivano dal Sud America o dall’Africa. Era un luogo di incontro e di cultura molto bello. Ricordo, ad esempio, che li ci provavano i Chirimia di Alvaro Hugo e grazie a loro mi avvicinai a nuove musiche e contaminazioni (salsa, mambo, bolero, cha cha cha, cumbia e folclore colombiano). Credo sia stato anche il primo posto dove ho incontrato Javier Girotto e con lui molti altri musicisti straordinari.
A febbraio 2021 è uscito il tuo album “Come l’uomo della luna” e ogni canzone porta l’ascoltatore a riflettere su cosa si desidera, sui suoi sogni, sulle sue speranze e quindi possiamo dire in generale sulla sua vita. Ci racconti l’album?
Sono undici tracce che raccontano un viaggio. Qui il viaggio è inteso, metaforicamente, come crescita ma anche, realisticamente, come esperienza dinamica. Il disco è, in altri termini, una dimensione nella quale accade qualcosa: incontri con culture e luoghi sconosciuti, ma anche l’incontro con sé stessi. Questa cosa si intuisce da molti dettagli. Vi suggerisco di leggere i titoli dei brani uno dopo l’altro, è un gioco che però svela la direzione.
È presente una traccia, la numero 9 intitolata “Voces” che dura 34 secondi e in cui possiamo ascoltare le voci appunto dei bambini della tribù Shipibo in Amazzonia. Ci parli di questo tuo viaggio in Amazzonia?
Sono molto grato a quel viaggio, in qualche modo è stata un’esperienza che mi ha rivelato qualcosa in profondità. A parole è difficile ma molte delle sensazioni sono nel disco. E “Voces” è come se lo testimoniasse. Per me è un brano intenso che dice tantissimo. Come se fosse la sintesi perfetta del mio personale modo di percepire “l’incontro”. A quei bambini ho dedicato anche il brano “Nel Mondo di Satià” che precede “Voces”: li c’è lo spirito dell’Amazzonia, tra cielo, terra e nuovi orizzonti.
Per realizzare l’album a cosa o a chi ti sei ispirato? Esclusivamente ai numerosi viaggi che hai fatto, ai luoghi che hai visitato e alle persone che hai incontrato o c’è anche magari qualche influenza di un autore, di un libro, di un film…?
La realizzazione dell’album ha richiesto del tempo. Così è stato naturale che prendesse e/o assorbisse da esperienze di vita, luoghi, odori, colori, suoni e caratteri dei posti e delle persone che ho incontrato. Tutto questo è il bagaglio che ho ritrovato. Però, nel bagaglio, c’è un libricino che mi piace citare: Patagonia Express di Luis Sepúlveda. Un buon compagno di viaggio, direi.
Nei testi dell’album abbiamo notato che non fai tanto riferimento ai luoghi o paesi del mondo, ma al cielo (citi le stelle, la luna, la notte…) perché il cielo è libero e non ha confini al contrario della vita qui sulla terra in cui dovunque noi volgiamo lo sguardo troviamo limiti e frontiere. È corretta la nostra osservazione? Quanto è importante per te la libertà e l’essere senza confini nella vita di tutti i giorni, non solo nella musica?
In effetti, l’osservazione è corretta perché non cito i posti ma li identifico con immagini ed emozioni personali. In “Lontano da tutto”, ad esempio, descrivo la via lattea visibile nel cielo d’estate sopra casa mia in montagna, quel cielo l’ho ritrovato in Spagna, in America Latina ed in molti altri luoghi. Nel mio ultimo video “Tra miliardi di stelle” parto proprio da quel cielo, per poi ritrovarmi ad ammirarlo sul “Mirador de los Andes in Perù” o a Machu Pichu. Il cielo è la strada da seguire in questo album. Lo si capisce dal titolo “Come l’uomo della luna” e da altri riferimenti sparsi. Forse, come per i primi viaggiatori, per me rappresenta qualcosa di certo. Sicuramente è l’habitat del senso di libertà che mi porto dentro, perché qualsiasi orizzonte ho guardato il cielo ne è stato il protagonista.
Ascoltando il tuo album abbiamo ritrovato oltre all’entusiasmo, un sentimento malinconico, nostalgico che è tipico dell’anima dei portoghesi/brasiliani, alla saudade portoghese, brasiliana appunto. In “Lontano da tutto” canti “ed è in un giorno nero che ritroverò il sorriso, sognando tutto d’un fiato quello che avevo”. È così?
Probabilmente si, nel senso che a mio modo di vedere è il sentimento del viaggiatore. Però canto anche “ed è in un giorno nero che mi sentirò al sicuro, sorrido perché ho un sogno e non sarò mai solo…” e questa è l’energia che è altrettanto presente nell’animo di chi scopre il Mondo.
“Keep on movin…” cantava Bob Marley.
Il libro di Gianluca Didino intitolato Essere senza casa riflette la condizione di vivere in tempi strani, tempi caratterizzati da incertezza che dall’11 settembre 2001 ad oggi, inclusa Pandemia, hanno cambiato le nostre abitudini, le nostre percezioni, il nostro presente e ovviamente il nostro futuro. Come dice lo stesso autore “oggi l’esperienza dell’assenza di casa, intesa come luogo stabile in cui mettere le radici, accomuna gran parte della mia generazione” (2020: 26), enfatizza appunto come in questi tempi manca la sicurezza anche nell’avere una casa e come sono crollate tutte le nostre certezze: dal lavoro alla famiglia. L’autore si ritrova quindi a condividere con il titolo di una canzone del famosissimo cantante country Jim Reeves: This World is not my home. Invece possiamo dire che per te il mondo è la tua casa? Come canti nella canzone Di Notte: “Girando il mondo sono a casa mia”….
Io sono molto legato alle mie radici, la “mia” montagna (Zona Appennino centrale italiano/ Amatrice) è la mia casa, ma se viaggi percepisci che la Terra è un luogo “familiare” pronto a stupirti. In altri termini, ci sarà più di un luogo dove sentirsi al proprio posto. Credo che viaggiare contribuisca a trovare certezze, non è la diffidenza che muove l’uomo ma l’aspettativa di qualcosa di meglio.
Tra le tante collaborazioni presenti nell’album, c’è anche quella con Fabrizio Bosso, famoso trombettista torinese. Come è nata questa collaborazione?
Spontaneamente direi. Grazie alla presenza nel disco di Simone Arcangeli (tromba e flicorno) e alla sua amicizia con Fabrizio Bosso sono riuscito a proporre la mia musica anche a lui. Il progetto è piaciuto e da lì è nata la collaborazione e l’amicizia che mi lega a questo grande artista. Credo che nel disco si percepisca.
Canti anche in spagnolo. Possiamo ascoltarti cantare in questa lingua meravigliosa sia in “Sin Miedo” che in “Adentro”. A cosa si deve questa scelta?
Alle circostanze della vita. Per varie ragioni negli anni ho vissuto spesso in Spagna, soprattutto in Andalusia. Così lasciandomi contaminare dalla cultura andalusì ho voluto dedicarle delle parole. È stato molto naturale. Alcuni brani sono stati scritti proprio lì tra Granada e Tarifa.
Il videoclip del singolo “Mammut”, pubblicato nel 2020 è molto artistico, come lo è anche “Sin Miedo”. Chi realizza questi videoclip artistici?
Mi fa piacere ricordarli perché cerco sempre di realizzare dei video che rappresentino anche l’incontro tra artisti. Ogni video citato è stato un laboratorio. In “Sin Miedo” il gioco visivo è stato creato dall’illustratrice Piri, mentre “Mammut” è stato realizzato dalla pittrice Clelia Catalano. Lavori molto diversi ma che rappresentano la mia idea di video. Immagini che raccontano e accompagnano la musica e viceversa. Dico sempre che la musica che mi piace mi porta sempre da qualche parte, anche nei video mi piace ritrovare questa sensazione.
Hai viaggiato molto e sei stato in diversi paesi del mondo. Se dovessi sceglierne uno o due, quale consiglieresti e perché?
Credo che la scelta dei posti da vedere sia molto simile a quella della musica da ascoltare. Tutto molto personale. La mia sensazione è che i luoghi del “Sud” del Mondo lascino un calore e delle emozioni diverse dalle terre nordiche. Ciò detto, non mi sento di consigliare luoghi specifici piuttosto di augurare a chiunque di visitare il “proprio” posto cui si legherà per sempre.
Quando scrivi o componi la tua musica lo fai di giorno o di notte?
Quando capita. A volte mi sveglio in piena notte. Scrivo, suono e registro. Tutto molto istintivo, direi.
Credi nel destino?
Questa parola mi ricorda sempre quando l’aereo è in fase di atterraggio e si sta per raggiungere il luogo di arrivo. Allora il pilota, in spagnolo, la pronuncia con soddisfazione. Ha un suono che mi emoziona sempre. Come non crederci?!
Musica e viaggio sono al centro della tua vita. Siccome non c’è mai due senza tre, qual è la terza cosa più importante per te?
“L’incontro”. Tutti i sentimenti legati alle persone e agli esseri viventi. Credo che sia fondamentale nella musica, nel viaggio e soprattutto nella vita.
Ci sveli i tuoi progetti futuri?
Sto lavorando, con il produttore Paolo Santambrogio, al secondo disco e, parallelamente, ad un lavoro speciale con quale incontrerò nuovamente sonorità prettamente reggae. Sono curioso di vedere i risultati, come sempre sarà emozionante.
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