LIVE REPORT: Jago. The Exhibition @ Palazzo Bonaparte [RM] – 10/03/2022

A cura di Davide Iannace

Jago, la scultura che torna viva

 

Ci son tanti tipi di arti al mondo, ognuno trova modo di realizzarsi in maniera diversa. Jago ha scelto di fare sua un’arte che, apparentemente, ha in qualche modo già toccato i massimi picchi, con Michelangelo e Canova – tra i migliori. Jago, eppure, ha trovato nel marmo proprio la sua realtà, la sua verità, che, come i maestri del passato, scava nei blocchi di marmo, internazionali come i suoi studi. Come i suoi marmi arrivano dal Vermont e dall’Italia, così Jago ha vissuto in città diverse – come New York e Napoli – e questa attitudine, questa capacità di leggere gli spazi e le persone a lui intorno, si traducono nella sua capacità di leggere il marmo e trasformarlo, renderlo preziose statue che poi, i fortunati visitatori di Palazzo Bonaparte potranno visitare. Per la prima volta, lo scultore laziale ha un intero spazio espositivo a lui dedicato – grazie all’attenzione di Maria Elisabetta Benedetti, curatrice della mostra, e di Arthemisia. Le principali opere che i suoi ammiratori hanno avuto modo di vedere tanto sui suoi social che nei più vari contesti urbani, trovano grazia e luce dentro le sale del secondo piano del palazzo che dà su Piazza Venezia.

Jago con la statua Habemus Hominem – dal press kit

C’è una ragione se grandi critici ed esperti d’arte come Vittorio Sgarbi e Maria Elisabetta Benedetti hanno avuto così a cuore questo giovane artista. Hanno visto in lui, veggenti a modo loro, una promessa verso il mondo dell’arte contemporanea: un salto solo all’apparenza all’indietro, un salto in verità verso il futuro della scultura.

È vero, il marmo non è forse il più nuovo dei materiali, eppure c’è qualcosa di nuovo nelle sculture di Jago. La sua personale a Palazzo Bonaparte apre con quelli che sono definiti i I sassi, l’origine, il suo punto d’inizio. Jago trova in materiali poco nobili, gli scarti adagiati sul letto del fiume vicino il suo primo laboratorio. Troviamo in questo inizio di mostra opere come Excalibur, Sphynx, La pelle dentro, Memoria di sé, Containers. Queste sono opere che provengono da un marmo forse poco nobile ma che mettono bene in luce la cura e l’abilità con cui lo scultore, fin dall’inizio, ha lavorato per cacciare da forme grezze qualcosa di sensibile, di reale, di suo.

In Excalibur la spada diventa kalashnikov, lo strumento per eccellenza per uccidere nel XX e nel XXI secolo – come tristemente troppi conflitti testimoniano. Metà grezzo, metà lavorata, questa scultura si staglia nella sua violenta calma come monito, e al contempo, ci permette di ammirare la cura con cui i dettagli sono colti dallo sguardo attento di Jago verso questo strumento che viene silenziato dall’arte, metaforicamente e letteralmente. Tutte le opere citate sono in qualche mood estratte dal marmo, ma rimangono ancorate al marmo ancora. Ne sono dentro, estratte, ne escono titubanti quasi, primi splendidi passi di questa arte antica resa contemporanea da Jago.

La seconda stanza è forse la più peculiare, grazie allo sfruttamento del suono. In Apparato Circolatorio viene ricreato il movimento di un cuore, visto in trenta forme simili ma mai uguali, che battono al ritmo reale del vitale organo umano. Un cerchio che, nella sua apparente semplicità, dice però tutto. C’è il battito del cuore, il suono più umano che possiamo sentire. C’è questa curiosa forma solida di trenta apparati, che ricordano una comunità, un insieme, mentre sono di fatto la stessa immagine ripetuta trenta volte, ripresa ancora ed ancora.

Spiazza, a modo suo. Spiazza l’idea, il concetto, dell’insieme che è uno e dell’uno che non è altro che un insieme steso su un leggero tappeto di tempo.

 

Dopo questa stanza, arrivano le statue che forse più di tutte hanno reso famoso Jago nel mondo. Pariamo di Habemus Hominem, de La Pietà, poi del Figlio Velato e della Venere. Quattro statue che più di tutte in apparenza si rifanno ad un canone quasi classico, nelle loro apparenze almeno. Tutte e quattro, invece, scardinano completamente il senso di classicismo, per portar il marmo nel XXI secolo in una maniera del tutto nuova.

La prima opera, Habemus Hominem, ha una storia peculiare. Nota precedentemente come Habemus Papam, dedicata a papa Benedetto XVI, nel momento in cui il precedente pontefice ha abdicato anni or sono, l’artista ha spogliato anche la statua, rendendo il papa uomo, proprio come il papa si è reso uomo con le proprie azioni. Un’opera di smontaggio del marmo, i cui infatti rimasugli sono conservati un contenitore di vetro trasparente che ricorda certi reliquari. Un’opera più unica che rara, quella di modellare il marmo, il blocco, affinché diventi statua; quella di smontare il marmo della statua, per scavare ancora più a fondo nella figura che, prima dormiente nella pietra, viene cacciata fuori a forza dalle mani abili dello scultore.

Apparato circolatorio – Press kit

Il procedimento di scavatura nel blocco è quello che è avvenuto tanto con La pietà che, poi, con il Figlio Velato. Entrambe le opere si rifanno ad altre due sculture classiche – La pietà di Michelangelo e il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino rispettivamente. Due opere iconiche, oramai, che pure Jago prende e reinterpreta con quel gusto tutto contemporaneo. La pietà non diventa più una scena religiosa, ma una scena di sofferenza tutta umana, in cui un padre abbraccia il figlio morente, che lascia cadere un sasso, appena. Lo stesso sassolino, di marmo, apparentemente una briciola, che si vede anche cadere tra le mani della figura stesa nel Figlio velato, un sasso che sembra un seme, potente iconografia della nascita, della rinascita.

C’è Jago in queste sculture, ma non solo come mano creatrice – ben visibile negli schermi che, vicino ogni opera ricostruiscono brevemente il percorso che mette bene in luce la creazione di ogni singolo pezzo d’arte esposto. C’è Jago nelle incrinature del viso del reggitore nella Pietà, c’è Jago nel figlio sorretto. C’è, nel dolore scomposto del padre, la traccia appena invisibile del dolore dell’artista.

Pietà – Press kit

C’è poi gioia invece nella Venere di Jago, questa statua che reinventa l’idea di sensualità, rendendola anziana, vecchia, ricca di smagliature. Non ci sono la pelle candida e liscia della gioventù, lo sguardo innocente delle originali rappresentazioni della Dea dell’Amore. C’è l’antico, il sapore di vissuto nelle pieghe della pelle ricreate nel marmo. C’è il passato esternato dallo sguardo che, come in ogni opera dell’artista italiano, sembra seguire lo spettatore. Uno sguardo che sembra suggerire, sussurrare seguimi, guardami, studiami. Come se la statua avesse una storia che Jago non dice, che conosce, che si mantiene come un segreto tra lui e la misteriosa musa grazie a cui ha estratto le grazie cadenti della sua statua femminile. Come in patto, giurato e mai più citato. La Venere di Jago rompe totalmente gli schemi, più delle altre statue presenti nella mostra. Forse anche per questo chiude il cerchio, ha la sua stanza totalmente immersa nella penombra, separata dal resto della mostra da pesanti tendoni. Rompe lo schema estetico, uno dei più rilevanti agli occhi di qualsiasi visitatore. Rompe lo schema della forma, non solo della sostanza. La Venere di Jago porta la bellezza in ciò che di solito viene messo ai margini, la donna anziana, che però ha ancora qualcosa da dire, da far vedere, da suggerire.

Figlio velato – Press kit

La mostra di Jago è una soddisfazione, tanto per la mente che per gli occhi. È una soddisfazione nel vedere il marmo tornare a vita nuova con sculture moderne, contemporanee. È la rivincita di ciò che si crede spento e finito – un materiale, un’idea, un tipo di scultura – che ritrova invece linfa nuova. Non è un caso che Vittorio Sgarbi lo definisca una rockstar. Ha ragione nel senso più puro del termine. È una rockstar nel momento in cui si pone al centro dell’opera, come scultore capace di usare i social per porsi esattamente al centro del processo creativo, al centro del suo mondo social, della sua bolla. Ma è una rockstar nell’atteggiamento verso la sua arte, che viene elevata a perenne palcoscenico. La mostra, come la creazione, sono delle performance artistiche dentro cui il visitatore si va a ritrovare.

È una performance la relazione che si instaura tra chi visita e quelle statue, apparentemente immobili, ma in movimento allo stesso tempo. In movimento, come atto riflessivo e creativo – che ben si contrappongono con gli imponenti marmi antistanti, quelli dell’Altare della Patria e poco più distanti, dei For imperiali. Sembra la perfetta sintesi così Palazzo Bonaparte. Da un lato, i contemporanei marmi, che battono come cuore palpitante, di Jago. Dall’altro, i marmi commemorativi, ancora antichi, ma ancora presenti, sfida al ricordo del passato, dei monumenti della Città Eterna.

Venere – Press kit

È una mostra da visitare, quella di Jago, che merita – come suggerito dall’organizzatrice stessa – di essere vista tanto con le luci del giorno che con le luci della sera, per una meravigliosa, diversa sintesi di quegli stessi lisci marmi bianchi. La soddisfazione più grande è sicuramente che, si sa, Jago è appena all’inizio e Palazzo Bonaparte solo il primo tassello di un puzzle che solo adesso si va costruendo. Grandi cose ci sono in serbo per lui e sicuramente, in futuro, avremo il piacere di vedere opere sempre più innovative e sempre più affascinanti.

 

DOVE: Palazzo Bonaparte, Spazio Generali Valore Cultura, Piazza Venezia 5, Roma

BIGLIETTO: Intero 15€, possibilità di riduzione (consultare il sito per maggiori informazioni)

ORARI: dal lunedì al venerdì 9-19; sabato e domenica 9-21

LINK: https://www.mostrepalazzobonaparte.it/mostra-jago

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