RECENSIONE: MARLENE KUNTZ – IL VILE [Consorzio produttori indipendenti, 1996]

Recensione a cura di Francesca Bruni

Dopo il successo di Catartica del 1994, vi è un cambiamento nel panorama del rock alternativo italiano: il 26 Aprile 1996, la band piemontese Marlene Kuntz pubblica il suo secondo album Il Vile, un disco non per tutti, controverso e complesso, dalle sonorità crude. Un capolavoro criptico degli anni ‘90 dal linguaggio aggressivo, diretto, che rispecchia il sound del primo periodo della band.

La prima volta che ascoltai il disco rimasi subito folgorata dal suo fascino ammaliante. Ancora oggi, a distanza di anni oltre vent’anni, rispecchia la mia personalità e condiziona ancora il mio stato d’animo.

Il vile – La mia copia autografata

Il Vile venne prodotto dalla casa discografica indipendente C.P.I. (Consorzio Produttori Indipendenti), a quell’epoca trampolino di lancio per molti gruppi rock alternativi italiani, tra i quali C.S.I., Disciplinatha, Ustmamò e tanti altri.

Il disco ha una struttura ben assodata, nonostante la giovane età del gruppo: i Marlene Kuntz hanno le idee ben chiare, razionali frastuoni ruvidi dal raffinato stile underground.

L’ album inizia con la peccaminosa 3 di 3, il brano ha un suono stridulo di chitarra, le corde di Riccardo Tesio incarnano il sound grunge, il testo della canzone è ardente, la voce di Cristiano Godano inizialmente è sensuale, per poi esplodere in un eco di rabbia, caratteristica predominante in quasi tutto il disco, come in Retrattile, in cui riaffiora un’indignazione dettata da una profonda delusione.

L’album prosegue con L’agguato, a mio avviso il pezzo più bello del disco, maestoso delirio con riff di chitarra leggeri ma, allo stesso tempo, la voce rende il brano molto più inquietante, facendoti entrare in un tunnel infernale.

Racconta la storia di un incidente stradale, prima e dopo l’impatto, il silenzio interrompe la musica e la voce, la morte arriva sogghignando all’improvviso, portandosi via la vita e l’anima rock vola in cielo.

Altro pezzo dall’affascinante complessità e dalle sonorità metal è Cenere, la ritmica della batteria di Luca Bergia ed il suono incalzante del basso di Dan Solo, rendono il brano molto aggressivo ed accattivante, sostenuto da una chitarra suonata sfasata e fuori tempo, dall’atmosfera schizofrenica, coadiuvata da una voce che sprigiona rabbia.

La nostalgica e melodica Come stavamo ieri dà una tregua mentale con riff di chitarre celestiali e metalliche dal sound amaro, come un sogno infinito che regala, nel finale, un rock demoniaco che pone fine a questa tregua.

Il malessere accattivante di Overflash sprigiona un flash letale che non ha più sbocchi, grazie alla voce intrigante e ghignosa di Cristiano Godano, accompagnata da una chitarra altalenante come battiti cardiaci.

Le parole mistiche di Ape regina sono grida disperate in un vortice di note cadenzate in sottofondo, che pian piano si trasformano in suoni stridenti dallo stile dark.

Esangue Deborah è un brano languido ed agonizzante, ma anche una poesia rock struggente, dettata dalla sensibilità e sofferenza del testo. Rispetto agli altri brani, ha un suono di chitarre gracili e nel timbro di voce vi è uno stato di rassegnazione.

Ti giro intorno invece è una ballata rock, dimensione infinita d’amore, brano intriso da metafore e musica all’ennesima potenza, ardore musicale e mentale, la voce rispetto alla musica è in controfase il che rende il brano fiabesco, come un’ossessiva nenia infantile.

La decima traccia del disco, E non cessa di girare la mia testa in mezzo al mare, è un rock energico ed adolescenziale, il cui testo esprime una realtà dove tutto è impossibile; il tempo passa ma non cambia niente.

L’ ultimo pezzo, quello che dà il titolo all’album, è Il Vile, il cui testo rappresenta un inno a favore di una generazione confusa ed incapace di agire, un vero e proprio messaggio capovolto rispetto al normale concetto dettato dalla società.

Il brano è rabbioso in stile Marilyn Manson, dettato dalle cadenze del basso di Dan Solo e che si chiude con un sound graffiante, ma tenue.

Il disco racchiude tutti i turbamenti e le inquietudini dell’essere umano e lo fa attraverso una ricerca sofisticata nelle parole dei testi e con un grande spessore musicale. 

Il Vile è un viaggio mistico ed inquietante che vivo attraverso la musica.

Rispecchia le ansie giovanili della generazione di quell’epoca, emblema di un disagio sociale, con influenze noise rock, alla Sonic Youth, a cui i Marlene Kuntz si sono liberamente ispirati.

A mio parere, è il lavoro discografico che ha segnato un periodo di svolta nella realtà sociale, culturale e letteraria degli anni Novanta, che avevano in sottofondo questo particolare rock italiano alternativo caratterizzato da introversione, rabbia, ribellione, raffinatezza, pesantezza, eleganza testuale.

Non mi resta che augurarvi buona musica, ringraziando i Marlene Kuntz per averci regalato questa Opera Maestra!

Marlene Kuntz – Il Vile

[Consorzio produttori indipendenti, 1996]

Credits:

Cristiano Godano : Voci & Chitarre
Riccardo Tesio : Chitarre
Luca Bergia : Batteria
Dan Solo : Basso

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