LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: BOB BALERA

Intervista di Gianluca Cleri

Torna il duo veneto dei Bob Balera con un secondo disco davvero molto interessante dal titolo “Pianeti”. Mescolando funk e pop rock dagli aspetti glam con una scrittura italiana assai feconda di quotidianità. E poi quel sapore battistiano, quella popolaresca attitudine alla Mogol… il tutto in un disco che per tanta parte sembra provenire da un passato dove la musica aveva un posto importante negli affetti e nel sapore dei sentimenti che ognuno di noi aveva. E noi indaghiamo come al solito con le nostre consuete domande socialmente utili… si spera…

Questa stagione di Just Kids Society vuol parlare di futuro. Una cosa incerta sotto tanti punti di vista. Parliamo del suono tanto per cominciare. Ormai i computer hanno invaso ogni cosa. Si tornerà a suonare la musica o si penserà sempre più a come comporla assemblando format pre-costituiti?
(Matteo Marenduzzo)
Presumo si sfrutteranno sempre più le opportunità che un sistema “ibrido” può offrire, in questo senso il futuro può essere molto affascinante. Allo stesso tempo, suonare uno strumento risulterà sempre utile e vincente, così come conoscere, in modo più o meno approfondito, l’armonia, la “grammatica” della musica. Prendiamo il meglio dei due mondi insomma, credo possano tranquillamente convivere,

Sempre più spesso il mondo digitale poi ha invaso anche la forma del disco. Ormai si parla di Ep, di singoli. Di opere one-shot dal tempo limitato. Qualcuno parla di jingle come forma del futuro. E dunque? Se da una parte c’è maggiore diffusione, dall’altra c’è maggiore facilità di produzione. Dunque… chiunque può fare un disco. Un bene o un male?
(Romeo Campagnolo)
Sicuramente un bene per quel che riguarda la facilità di produzione della musica. Credo però che la rapidità con la quale il tutto viene prodotto a volte può essere anche un male. Nel senso che la velocità di fruizione del disco non ci lascia il tempo di godere appieno dell’opera, senza lasciarci il tempo di ricercare quelle peculiarità che fanno sì che la musica ci possa coinvolgere con l’adeguata lentezza.

La pandemia ha ispirato e condizionato molta parte dell’arte di questo tempo. Ma sempre più spesso gli artisti inneggiano ad un ritorno a cose antiche, ataviche, quasi preistoriche come certe abitudini, come un certo modo analogico di fruire la musica. Insomma, ha senso pensare che nel futuro si torni a vivere come nel passato?
(Romeo Campagnolo)
Come appunto dicevo nella risposta precedente, la velocità e la frenesia di questi tempi non ci danno la possibilità di apprezzare fino in fondo la musica. Sarebbe bello ritornare, come un tempo, alla ritualità dell’ascolto. La bellezza del vinile infatti stava proprio in questo. Il sabato pomeriggio nel negozio di dischi, l’apertura della confezione e appoggiare la puntina, un rito di cui abbiamo perso la bellezza.

“Pianeti” è un disco antico. Un disco di rock dove il pop sa di anni che ormai sono lontani da tutti. Il glamour che sa di funk degli anni ’80 e ’90. Come pensiate possa incastrarsi dentro la liquidità digitale di oggi? Oppure oggi davvero si torna alle origini?
(Romeo Campagnolo)
Questa è una bellissima domanda. In effetti Pianeti rispecchia molto i nostri ascolti. Abbiamo dedicato molta attenzione alla riscoperta di un sound del passato. Il funky italiano degli anni 60 70, ma anche l’italo disco degli anni 80. Il fatto che poi i suoni siano ruvidi e particolarmente rock, lo dobbiamo alla produzione di Sandro Franchin. Egli infatti ha interpretato al meglio le nostre intenzioni. La voglia ma anche l’urgenza di riscoprire un sound troppo spesso sottovalutato. Speriamo di aver fatto un buon lavoro.

Anche in questa stagione riproponiamo una domanda che sinceramente non passerà mai di moda anche se le statistiche un poco stanno dando ragione a tanti come noi. Parliamo tanto di lavoro ma alla fine vogliamo finire in un contenitore in cui la musica diviene gratuita. E Spotify è uno di questi. Non sembra un paradosso? Come lo si spiega?
(Matteo Marenduzzo)
Hai toccato una questione molto spinosa. Sulle piattaforme di streaming come Spotify la fruizione non è propriamente gratuita, ma poco ci manca, Fortunatamente esistono anche valide e migliori alternative (vedi Tidal), dove poter ascoltare brani ad una qualità migliore, pagando qualcosa in più, con una più onesta distribuzione delle royalties agli artisti.
Per rispondere alla tua domanda, oggi purtroppo siamo tutti in cerca di visibilità, in un momento storico in cui il “rumore di fondo” è altissimo, l’attenzione nulla, le proposte tendenti all’infinito.
Spotify è un modo per arrivare ad un pubblico più ampio, questo significa maggiore possibilità di suonare dal vivo, una crescita degli introiti, la possibilità di entrare in un meccanismo che, nel tempo, potrebbe rendere sostenibile la carriera musicale.
Chiudendo, spero che questo meccanismo possa finire, purtroppo le band emergenti non hanno alcun peso specifico per invertire la tendenza, forse chi gode di popolarità potrebbe sparigliare le carte.

Siamo nel tempo dell’apparire. Come ci si convive? Si esiste solo se postiamo cose? E se non lo facessimo?
(Romeo Campagnolo)
L’immagine ha un ruolo sempre più importante nella società moderna. I social non hanno fatto altro che esasperare questa cosa. Non so se sia un bene o se sia un male. Ma credo che nell’eterno conflitto tra essere e apparire vinca sempre il simulare.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto dei Bob Balera, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
(Romeo Campagnolo)
Sicuramente un disco dei nostri colleghi della Soviet.

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