Intervista di Gianluca Cleri
Il futuro dei Cyborh, le macchine che dentro un singolo come “Machine” prendono il sopravvento anche se di base, la radice è rock, di anime vive, di mestiere artigiano. Le distorsioni degli ampli si mescolano ai contorni digitali e il risultato è apolide sensazione di sospensione, passato e futuro che dialogano assieme. Non è il futuro dei Muse ma neanche il passato dei Radiohead. Il rock dei campani Black Whale si presenta con un primo lavoro dal titolo “Spaceship” ed la mescolanza di tanta storia e di tanti dischi. Quello che ci piace è la libertà compositiva che pesca tanto dal passato… quel mix di voce che è davvero figlio di un fare internazionale, quel gusto melodico assai pop ma devoto alle grandi routes americane e inglesi. Perché anche sotto questo punto di vista le strade si mescolano e non poco…
Avevamo lanciato questa uscita e ora siamo curiosi tanto di approfondire: partiamo dal moniker. Una balena nera… un buco nero, qualcosa che ingloba tutto… un punto fermo da cui ripartire… oppure il buio che nasconde… insomma cosa?
La balena rappresenta un essere antico che custodisce la memoria della Terra. Il suo canto si può ascoltare a km di distanza ed è qui che cade uno dei nostri desideri principali: ci piacerebbe portare la nostra musica anche lontano da casa. Concetto che poi ha vissuto una trasposizione spaziale che ci ha fatto letteralmente partire per un nuovo viaggio. Il buio del “Black” invece al momento nasconde delle novità molto forti che si potranno ascoltare nei prossimi brani.
E questa copertina dentro cui si richiamano anche battaglie alla “Star Wars”… esiste una citazione in merito?
La copertina l’abbiamo scattata in studio con il supporto di Irene Petagna (art director) e Nico Vecchione (QuepodLab). I riferimenti che si possono leggere riguardano la cultura spaziale/stellare/cyber che abbiamo vissuto nella nostra adolescenza e che oggi continua a persistere in modo ancora più forte grazie alla distribuzione continua di serie tv e film a tema.
Domanda filosofica ripescando il titolo del disco: navigate a vista o avete un sentiero e progetti ben presenti?
Siamo partiti con un progetto definito perché ci teniamo alla coerenza, ma abbiamo anche il coraggio di sperimentare per provare il brivido della navigazione a vista. Ci siamo imbattuti di recente in soluzioni nuove che ci sono piaciute molto e che non vediamo l’ora di pubblicare. Diciamo che la nostra navigazione è composta da un mix complementare. La definizione della rotta è fondamentale, ma trovarci in nuovi scenari non ci spaventa.
Dietro le quinte di questo disco cosa ci troviamo? Un rock inglese di una generazione fa o la voglia di mescolare il passato al futuro per proiettarsi domani?
Crediamo sia giusto sottolineare che il lancio del nostro primo EP possa essere un anticipo di quella che è la preparazione della band alla stesura del disco. Sound americano o le linee morbide più inglesi del cantato? Ci chiediamo oggi chi saremo domani, ma siamo tutti d’accordo sulle radici, le origini e sul nostro passato.
Bello il video di “Machine”… ma proprio non riesco a far pace con la dicotomia di una immagine animata dentro un suono industriale. Sembra di tornare ai cartoni giapponesi… e non so se questo era quello che volevate…
Il video è una una traduzione passata dalla penna di Gio al video elaborato da Nico Vecchione di QuepodLab. È come se, fin dall’inizio, questo brano ci avesse guidato in questa precisa direzione. Il protagonista ha degli elementi molto umani, nonostante sia stato trasformato in un cyborg per la vita eterna. L’influenza dei manga giapponesi era inevitabile, siamo cresciuti con Cowboy Bebop, Trigun e chi ne ha più ne metta.
Altra percezione: nel mix trovo sempre molto presente la sezione ritmica. Forse anche un filo troppo avanti… sbaglio?
La sezione ritmica in “Spaceship” ha preso un posto importante nel mix in maniera naturale: una posizione di possenza e di frontalità che ha firmato il sound definitivo. Suonava bene fin dall’inizio, ci abbiamo creduto ed ha preso una bella forma.
E in ultima cosa: belle le distorsioni di chitarre. Queste invece le sento un passo indietro nel mix, quanto bastano a dare un corpo nebuloso al tutto… cosa ne pensate?
Grazie! Il nostro chitarrista e producer dedica un’attenzione particolare al sound generale, delle chitarre e della sezione dei distorti. Una volta che l’idea ha preso forma, l’obiettivo è arrangiare con funzionalità per dare spazio anche a synth e basso che spesso si fondono in ritmiche serrate e all’unisono. Pertanto, quella percezione “retrostante” che si genera nell’ascolto è stata una scelta.
Abbiamo desiderato un EP con un sound non troppo chitarristico, ma alla fine ci è piaciuto esagerare ugualmente! (hahah)